Recensione: Dead Again

Di Andrea Poletti - 14 Aprile 2016 - 1:07
Dead Again
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2007
Nazione:
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85

Non è possibile a nessuno uccidermi. Uccideranno e seppelliranno Grigorij. Ma è possibile che non sarò seppellito. Non affogherò nell’acqua, non sarò sottomesso al fuoco, io vivrò.

Grigorij Efimovic Rasputin   

Se crei il mito, prima ancora della persona, sarà impossibile sparire ed essere cancellati; probabilmente la forza dei Type 0 Negative è rinchiusa in questo semplice concetto. Anche oggi, ad anni dalla loro ufficiale dipartita dalle scene, non smettono di sorprendere, di emozionare con album che definire magistrali diventa pressoché riduttivo; possono essere ascoltati decine e decine di volte, ma ad ogni passaggio un dettaglio emergerà. Il padre padrone se ne è andato prima del tempo, così si dice solitamente, ma a ragionare con la sua filosofia di vita, quel 14 aprile del 2010 era il giorno perfetto. Non aveva nulla di speciale ma era quel giorno, quel momento, quell’istante dove Peter, da musicista osannato e acclamato è passato allo status di icona, come per Rasputin era giusto così. Pensiero crudele ma sincero, rimpiangiamo quell’uomo? Certamente, ma abbiamo la fortuna di riportarlo in vita ad ogni ascolto di questo splendido album o degli altri sei fratelli che portano il nome Type 0 Negative. Non serve molto impegno. Parlare della genesi creativa, di cosa ha portaro e cosa ha lasciato Dead Again è difficile, apre una ferita nel petto senza mai ricucirsi definitivamente; quest’ultimo disco porta con sé un bagaglio importantissimo, un bagaglio che a molti non dirà nulla ma che fà la differenza. La prima vera batteria registrata da un essere umano (John Kelly) a dispetto dei precedenti tre episodi finalizzati con la drum machine, il primo e ultimo disco su SPV dopo l’uscita dalla Roadrunner e l’album con la posizione più alta in classifica, alla sua prima settimana d’uscita sempre possa contare qualcosa. Dead Again ha sancito in maniera definitiva, anche se non è stato mai possibile confermarlo pienamente, un’allontanamento dalle partiture prettamente goth e Beatles-iane, andando ad esplorare sentieri molto più “heavy” con una volontà ben definita di cercare nuovi stimoli e sfumature nelle musiche della band. Con molta probabilità il periodo di sobrietà e la ricerca della fede da parte di Peter hanno contribuito ad un leggero cambio di suono; all’epoca in molti rimasero in estasiati, altri amareggiati, alcuni arrivarono già a dichiarare il combo “finito”. Quanta superficialità, quanta poca fiducia; meglio concentrarsi sulle musiche.

Settantasette minuti e ventotto secondi, un tempo infinito se proporzionato ad un ipotetico album musicale singolo, un trip che giustamente non ha l’immediatezza dalla sua e necessità di tempo, atenzione e passione per essere apprezzato a pieno. Se l’iniziale chorus porta ingannevolmente dentro lidi doom ed atmosferici, il successivo giro di basso lascia prendere forma all’album vero e proprio che si schiude dalla sua crisalide per sfociare nella Titletrack groovy e di facile appiglio; l’intro perfetta per le venture sorprese. La doppietta successiva invece ci offre la possibilità di riprendere in mano quella band che conosciamo da sempre con quell’attitudine doomy mischiata ad un fraseggio sempre più dark e progressivo che negli anni è diventato un vero e proprio marchio di fabbrica. La magistrale Profits of Doom, tra le canzoni più belle dell’intero album, ci lascia interdetti e nel contempo ammaliati attraverso l’amalgama perfetta di ritmiche orientali (con il Sitar inserito splendidamente) e sonorità malinconiche tipiche di casa “Black & Green“; dieci minuti di un conturbnte trip mentale che sfociano nei ritornelli verso questa nuova veste dei Type 0 Negative, dove il feeling meloddramatico offre qualche spiraglio di luce. Peter e il suo cantato sono la fonte miracolosa a cui tutto attinge. 

So now the star has fallen washing away the seas

The seventh seal now opens it’s raining your fears

September Sun a primo acchito potrebbe essere una di quelle ballate strappalacrime, la versione promozionale la fa sembrare tale, ma attraverso la sua delicata cadenza romantica, quasi non ci si accorge come nella parte centrale si viene trasportati verso lunghe perentorie marce che si dilatano entro un solo di tastiera da pelle d’oca, ritornado sui propri passi e riavvolgendo il nastro nuovamente. Un Dott. Jackyll che conosciuto meglio diventa Mr. Hyde, da interpretare. Halloween in Heaven è la dedica da parte di Peter all’amico Dimebag e alla sua atroce morte, il paradiso è ipoteticamente sommerso da mostri e brutte figure se tutti i più grandi musicisti muoiono, noi sappiamo che oggi lassù c’è buio pesto. These Three Things è la suite da quasi quindici minuti che sorvola ogni schema emotivo ed illusorio, ogni attimo e ogni preconcetto, ha tutto al suo interno e può concettualmente esser vista come la summa della carriera della band di New York. Da ascoltare in rigoroso silenzio attraverso la sua decadente visione del mondo, non c’è nulla da aggiungere se non l’imperativo del verbo ascoltare. She Burned Me Down riprende il classico ritmo Beatles-iano che ha da sempre contraddistinto i quattro e lo rallenta, lo soffoca, lo veste di tinte verde/neri per donarlo alle creature dell’oscurità; probabilmente poteva durare di meno a dispetto dei suoi sette minuti, ma sappiamo che la sintesi non è nelle corde dei nostri cari, non era, purtroppo. Questa traccia ci porta in dono la sua nemesi,un ritmo punkeggiante fa nascere dal nulla Some Stupid Tomorrow che riprende antiche sonorità al limite del death vecchio stampo, del thrash (la presenza del growl è significativa) e ci dona i T0N mescolati con i Carnivore, ipoteticamente questa è la dimostrazione di cosa sarebbero diventati, o cosa avrebbe potuto creare, il mastermind se avesse avuto la possibilità di vivere. Ma quel 14 Aprile era il giorno perfetto. An Ode Locksmith ha un riff portante che oggi definiremmo stoner, la distorsione che si aggroviglia su se stesa mentre non si riesce a smettere di headbang-are attraverso il ritornello finale da cantare a squarciagola puzza di marcio, ma è un marcio raffinato, perchè signori si nasce.

We ain’t going home – got nowhere to go

L’ultima canzone, quella che chiude Dead Again è un destino, un monito, un caso se vogliama vederla così; qui il fattore a cui prestare attenzione è il testo, più che le musiche che, detta come va detta, non aggiungo molto a quello già percepito sino ad ora. Gli stati di dipendenza dalle drogheche si palesano gigantemente, attraverso questo intermezzo fanno riflettere e rabbrividire. Cosa può combinare un uomo? Cosa risiede dentro il cervello in qui momenti, sopratutto se si è afflitti da bipolarismo?

I can’t believe how cruel life is

Emotional blackmail makes me sick, oh so sick

Andando tutto a chiudere, con l’ultima terremotate e funerea frase che recita testualmente.

All hail and farewell, to me

Non credo ci sia altro da aggiungere all’ultima frase dell’ultima traccia, dell’ultimo album dei Type 0 Negative, il destino ha scelto per noi cosa pensare e cosa farci sentire dentro. 

Chiuderei silenziosamente questa recensione, che più che tale vuole essere un ricordo, un omaggio ad un grande artista e ad un grande band che decidiamo di pubblicare in un giorno speciale, che ognuno di noi ricorda personalmente. I Type 0 Negative non esistono più, ma come Rasputin, sono oltre il mito, la storia sarà sempre dalla loro e Peter ci guarda da lontano, dall’alto dei sue due metri e tre centimetri d’altezza con quello sguardo cupo e misterioso nel quale perdersi. Un ultimo capitolo che ci ha lasciato in eredità sette album strepitosi, sette gemme, dove a scegliere è solamente il gusto del singolo, l’unica verità è che dopo la morte c’è il ricordo di chi ci ha conosciuto ed apprezzato realmente. Noi nel nostro piccolo rendiamo omaggio.

I can’t believe I died last night – oh God I’m dead again

I can’t believe I died last night – I’m fucking dead again

Ciao Peter

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