Recensione: Dead City Dreaming
Dopo 4 album e un’anonima carriera che si dipana faticosamente tra mille difficoltà, i Crystal Eyes riescono finalmente ad aggiungere alla propria discografia un capitolo che ne segnerà positivamente, ne siamo certi, i successivi sviluppi. Dead City Dreaming rappresenta infatti il punto della vittoria finale nella partita che da sempre il combo svedese combatte contro la sfortuna e contro un music business che spesso li ha relegati ai margini dell’olimpo del metal classico scandinavo dove regnano incontrastati gli Hammerfall e dove un significativo passo avanti hanno compiuto i Falconer con l’ultimo Northwind. La band di Mikael Dahl ha saputo evolvere il proprio sound attraverso un processo di emancipazione che ha fatto registrare un progressivo abbandono del power metal banale e derivativo dei primi dischi a favore di un sound che recupera certe sonorità ottantiane che hanno fatto la fortuna di band come Accept e Judas Priest. Merito probabilmente anche dell’apporto nel precedente disco di Daniel Heiman, qui sostituito dalla sorpresa Nico Adamsen, proveniente dalla sconosciuta band olandese Starrats, che sembra integrarsi alla perfezione con lo stile compositivo di Dahl, incentrato su interessanti duelli di chitarra e su cori melodici ma sempre potenti e vagamente epici.
Come anticipato il disco è un concentrato di metal classico all’interno del quale sono state sapientemente miscelate componenti prettamente heavy con altre che sembrano strizzare l’occhio al filone power melodico. La sensazione che il disco lascia nell’ascoltatore, dopo ripetuti ed attenti ascolti, è che ogni componente, sia strumentale che vocale, abbia trovato piena collocazione nel puzzle creato dalla fertile mente di Dahl, songwriter di tutto rispetto che è riuscito ad implementare un prodotto certamente poco originale, ma soddisfacente ed efficace sotto ogni punto di vista. Il merito di questo interessante risultato finale va attribuito in buona parte alla produzione, curata da Fredrick Nordstrom, che ha avuto il merito di estrapolare da ogni singolo strumento il meglio e di bilanciarlo conservandone intatto quel sapore di presa diretta che conferisce al disco un suono integro ed immediato.
Il livello qualitativo del lavoro si mantiene costante su buonissimi livelli, il disco non fa registrare alcun calo di tensione e non presenta filler di sorta. Le canzoni alternano frangenti più orientati verso soluzioni power/speed, come la tellurica Battlefield, nella quale il cantante dà prova delle sue eccellenti qualità vocali, alla dinamica Dawn Dancer, dove la prova di Dahl alle chitarre (sia ritmica che solista) si assesta su livelli di tutto rispetto, così come in Into the Light dove i cori assumono un accattivante sapore epico e le atmosfere mantengono un flavor arioso. Del lotto di mid tempos fanno parte l’opener Dead City Dreaming, che si sviluppa sul un riffing roccioso e dinamico, The Narrow Mind col suo coro molto happy metal, così come The Quest Remains che rappresenta una delle canzoni più riuscite di tutta la discografia dei Crystal Eyes. Oltre alla conclusiva The Halls of Valhalla, dotata di un refrain accattivante e di un mood epico che farà felici i sostenitori di sonorità tanto care agli Hammerfall, cito la semi ballad Walls of Stars dove Adamsen offre una prestazione versatile e coinvolgente.
I Crystal Eyes puntano esplicitamente al recupero delle sonorità che hanno fatto la storia del metal classico, e questo disco costituisce un vero e proprio tuffo nel classic heavy anni ‘80. Le citazioni dunque non si contano, tuttavia il risultato finale non suona come un dejà vu poiché ogni singola traccia viene plasmata dall’ottimo Dahl con quel personale estro compositivo che rende Dead City Dreaming un disco da non lasciarsi sfuggire.
Tracklist:
01. Dead City Dreaming * MySpace *
02. Into The Light * MySpace *
03. The Narrow Mind
04. Wall Of Stars * MySpace *
05. Battlefield * MySpace *
06. The Quest Remains
07. Dawn Dancer
08. Roads Of Loneliness
09. Temple Of Immortal Shame
10. The Halls of Valhalla