Recensione: Dead God Effigies

Di Daniele D'Adamo - 22 Ottobre 2016 - 11:08
Dead God Effigies
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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58

Opener-track.

Croce e delizia di tutte le band che devono stabilire la tracklist del proprio full-length. Concept-album a parte, la tradizione è piuttosto chiara, in merito, e deriva da motivazioni prettamente… pubblicitarie. Per prima, cioè, si mette ciò che si ha di meglio in cascina nella speranza che poi, l’ascoltatore, in tal modo affascinato, proceda all’acquisto di tutto il lotto: il disco. O, meglio, l’LP. Poiché l’arcaica consuetudine ha la sua genesi proprio quando l’unico supporto disponibile, oltre la musicassetta, era il vinile. Per il quale, in sede di ascolto di prova, la prima canzone che si andava a pescare era, ovviamente, la prima.

L’opener-track, appunto.

I belgi Neverlight Horizon devono aver adottato questo sistema poiché “Dead God Effigies”, terzo album in carriera, si apre con una song spettacolare, ‘Useless Humanity’. Main-riff devastante, violento, brutale. Nato dal thrash degli Slayer, duro, deciso e, soprattutto, assolutamente travolgente. Ondate di blast-beats si susseguono nei vari tratti del brano, conferendo allo stesso una sorta di status: di come debba essere suonato, oggi, il puro death metal.

Ma, come nelle peggiori delle ipotesi relativamente al suddetto concetto di opener-track, via via che scorrono gli altri pezzi del platter, ‘Useless Humanity’ si rivela essere l’unica composizione al di sopra delle righe. Il resto, purtroppo per i Neverlight Horizon, è solo una successione di cliché triti e ri-ritriti. Certo, ‘Drowning Blackness‘ è di una violenza tale che strappa prima la pelle e poi la carne ma, in occasione del break centrale, rispuntano i ceselli a due asce tipici degli Slayer (di nuovo). Il che non è il massimo, per una formazione che deve trovare, oltre al proprio stile, anche delle soluzione diverse dal solito trantràn.

Per quanto riguarda lo stile, i Neverlight Horizon mostrano una sicura padronanza dei propri mezzi, sciorinando un death metal impeccabile e perfettamente coerente con i relativi dettami di base. La loro tecnica, peraltro, è di primo piano. Fatto, questo, che in alcune occasioni li avvicina notevolmente alle folli lande del brutal (‘From Black Liquid to Extinction’).

Si tratta, nondimeno, di una foggia musicale anonima, seppur ben formata. Anche dopo reiterati ascolti, difatti, non si riesce a memorizzare alcun segmento, a parte la (troppo) ridetta ‘Useless Humanity’. E, a mano a mano che si procede nel viaggio dall’opener-track alla closing-track (‘Desperate Final Assault’), sorge, inevitabile, un po’ di noia; nemica numero uno della musica e delle altre emanazioni artistiche più in generale.

Nient’altro da aggiungere.

Del resto, alla fine dei conti, osservandolo a tutto tondo, in “Dead God Effigies” non c’è poi granché.

Daniele D’Adamo

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