Recensione: Dead poetry
A volte ritornano. Anche il black metal ha il suo “Chinese democracy”. Uno dei volti più amati del gothic black che fu all’albore del XXI secolo. Un batterista dall’ottima carriera che, mollati i Borknagar, prova a fare della musica propria. Tutto questo in “Dead poetry”, debut dei Veil of Secrets, progetto che unisce Vibeke Stene e Asgeir Mickelson.
In molti, almeno sopra una certa età, ricorderanno Vibeke, meravigliosa (in tutti i sensi) singer dei Tristania fino al 2007 e poi scomparsa nel più totale silenzio. In realtà la cantante se ne è stata per i fatti suoi, ha insegnato canto, ha avuto dei bambini, è apparsa come guest vocalist in un pezzo che di metal non ha nulla e poi ha messo le sue corde vocali a disposizione del progetto God of the Atheists. Che poi sarebbe anche il “Chinese democracy” di cui sopra, come lo ha definito is suo stesso mastermind, Asgeir Mikaelson (il batterista di cui sopra). Si tratta di un progetto avviato nel 2012 con nomi parecchio di grido (il vocalist ufficiale è ICS Vortex) e al quale, stando sempre ad Asgeir, manca la registrazione di 5 tracce di basso per essere completo. Ottimo, no? Certo che no, perché è dal 2016 che quelle linee di basso devono essere registrate.
Che fare dunque per ingannare il tempo? Non c’è nulla di meglio di un bel side project di doom old school con le vocals al femminile. Ed ecco qui il sodalizio con Vibeke, la nascita dei Veil of Secrets e l’uscita di “Dead poetry” che, si spera, faccia da antipasto al disco dei GOTA.
Doom metal? Sì, è scritto proprio doom, sebbene entrambi i protagonisti di questa opera abbiano alle spalle un background assai più vicino al black.
Un doom estremamente classico, pieno di buoni riff, non particolarmente pesanti ma neppure di facilissima assimilazione. Riff di chitarre rocciose e taglianti, per 8 brani compatti a volerla vedere in positivo e un po’ troppo simili tra loro, a voler essere critici.
Su questa rocciosa base chitarristica si inserisce l’eterea voce dell’ex Tristania, per un risultato dissonante e assai curioso. È un po’ come se la musica fosse slegata dal canto, come se gli strumenti andassero in una direzione demoniaca e le vocals in una angelica. Le vocals femminili, perché una spruzzata di growl, demandato a Erling Malm, qua e là ce la becchiamo. Così come troviamo, ad impreziosire tutto, anche il violino di Sareeta, un’altra presa dalla grande famiglia dei God of the Ateists.
Il risultato finale è dunque un disco raffinatissimo, costruito con tecnica e mestiere sopraffini, ma anche un po’ freddo e distante. Le idee sono tutte molto buone, “Dead poetry” è un disco assai piacevole da ascoltare eppure non conquista. L’idea del contrasto musica/voce è bella e affascinante ma, anche negli episodi più riusciti, sembra mancare di una “scintilla di vita”.
Il debut dei Veil of Secrets, dunque, è un buon disco di mestiere, che magari piacerà soprattutto agli amanti del doom di vecchia scuola. Manca però qualcosa, tra cui il fatto che non sappiamo se “Dead poetry” avrà mai un seguito o se si tratta di un’uscita estemporanea.