Recensione: Dead World Order
Prosegue la storia dei tedeschi Bitterness, nati nel 2001 e giunti oggi al settimo album: ‘Dead World Order’, disponibile dal 15 maggio 2020 via G.U.C., label che li segue ormai da undici anni.
La formazione, invariata rispetto al precedente lavoro, il buon ‘Resurrexodus’ del 2015, presenta un nuovo album di sonoro, granitico e, soprattutto, puro Thrash Metal vecchia scuola, accantonando gli slanci infernali Black e Death del passato.
Una leggera svolta, dunque, che può far arricciare il naso ai demoni più intransigenti, ma che dimostra che il combo non vuole limitarsi e ripetersi, trasformando il proprio sound in un cliché solo perché prima ha funzionato.
Così facendo corre qualche rischio, come l’allontanare un po’ di seguaci e tendere ad assomigliare a qualcun altro, perché, bene o male, se si suona Old-School si fa qualcosa che è già stato fatto (e migliaia di volte oserei dire …) e si possono perdere alcuni tratti individuali.
Però, se quanto scritto sugli spartiti nasce dal proprio senso artistico e non è un semplice tentativo per restare a galla, che peraltro i fan smascherano sempre, è giusto così: va bene correre il rischio.
Così alla fine i Bitterness di ‘Dead World Order’ prendono, con maggior decisione, la strada tracciata all’origine dai Destruction (anche la storia è simile, tra l’altro: prima un terzetto, poi una formazione a quattro ed ora di nuovo in tre …) e perdono un po’ di personalità.
Che ci vogliamo fare? Il risultato comunque c’è.
Intransigenza, cattiveria e dolore sono tutte sensazioni che attanagliano l’ascoltatore: l’album è intriso di pura rabbia, che esce dai solchi con prepotenza per essere trasportata nell’etere da una moltitudine di riff ficcanti e melodie taglienti.
Voce irosa, ritmiche poderose e serrate, pochissime pause e grande impatto sonoro, secondo schemi ben conosciuti, ma che ancora colpiscono, il tutto unito a scure ed enfatiche melodie, tutti elementi che contribuiscono alla detonazione di ‘Dead World Order’, che, alla fine, emerge pur non contenendo nulla di nuovo.
‘A Bullet Day’, il primo vero e proprio brano dopo l’arpeggio malinconico ed introduttivo di ‘The Last Sunrise’, è un classico senza esserlo: veloce ed abrasivo quanto la pelle di uno squalo, non ha freni.
Il tempo medio scandito nella prima parte di ‘Dead World Order’ ha la stessa consistenza di un masso calato sullo stomaco. Il suo senso oscuro tronca il respiro ed è quasi una liberazione sentirla accelerare nella sua seconda parte.
‘Idiocracy’ (titolo di un film distopico che parla del rischio di sopravvivenza causato dal dominio della stupidità umana che, vivamente, consigliamo) è roboante, avvincente e pestata, con un interludio serratissimo: non fa prigionieri.
Così come non li fanno la marziale ‘Let God Sort ‘Em Out’ e l’adrenalinica ‘Forward into the Past’ con un duetto di chitarre in sincrono molto avvincente.
‘Blood Feud’ è una mini suite carica di furia di circa sette minuti e mezzo. La prima parte, introdotta da un nero arpeggio, viaggia ad andatura intermedia, cattiva, determinata, sprezzante. E’ di nuovo un arpeggio a portare alla seconda parte, che diventa assolo e poi melodia accompagnata da una ritmica avvincente; è un lavoro di gran classe che si conclude ritrasformandosi in ferocia.
L’ultimo brano cantato è ‘None More Black’ che mette un punto interrogativo sul futuro artistico del trio: ‘non più Black’? Può essere, vedremo. Intanto ci viene mostrata (o, meglio, rimostrata) la parte luciferina dei Bitterness attraverso un pezzo di alto valore metallico.
Chiude la strumentale ‘Darkest Times’, malinconica, sofferente e, al contempo, rabbiosa.
‘Dead World Order’ ci mostra una band in forma e dalle idee chiare attraverso anche una buona produzione che ne mette in luce tutto lo spessore artistico.
L’album è stato prodotto dai Bitterness in collaborazione con Christoph Brandes, è stato registrato presso gli Iguana Studios di March/Buchheim e mixato e masterizzato da Harris Johns presso gli Wave Akademie Fur Digitale Medien di Berlino.
Detto questo, non resta che ascoltarlo.