Recensione: Deadened
Dei Dying Humanity non conoscevo assolutamente nulla, ed onestamente sulle prime mi ero anche pentito di averli scelti incuriosito dal monicker dell’ensemble, quindi ho accantonato momentaneamente questa recensione in attesa di ritrovarmi nel mood giusto per giudicare un disco che, nonostante alcune discrepanze a livello personale, sembrava comunque ottimamente suonato e prodotto.
Il tempo e la pazienza mi hanno dato ragione, perché col senno di poi ho scoperto di avere tra le mani un ottimo album, realizzato da una formazione (i Nostri sono tedeschi) compatta ed affiatata. Nostri che propongono un robusto death metal estremamente melodico, di matrice spiccatamente moderna con tanto di cantato melodico (comunque dal timbro sempre roco ed assai poco fighetto) inserito a sprazzi (appunto, il motivo che mi fece pensare di accantonare la band così a primo impatto) tra un brano e l’altro, ma senza mai sconfinare nel suono in stile metalcore che tanto va in voga oggi.
Partendo dalla robustezza della title-track, i nostri paladini inseriscono sferzate in puro thrash-style facendo uso di riff muscolosi che nonostante un certo già sentito (l’impianto di base è pur sempre melodeath) si vanno sempre ad inserire bene nella struttura dei singoli pezzi con il risultato di mantenere vivo l’interesse e non annoiare, alternando colate di assoli magmatici di un certo spessore.
Non è poco, ed anche se i Nostri non siano esattamente all’esordio (è il loro quarto album) è comunque apprezzabile il fattore di costante qualità all’interno di tutto il platter: nella sua interezza infatti, pur non avendo momenti di particolare spicco e proponendo brani di una durata sempre calibrata sulla media dei 3-5 minuti, il monolite forgiato dai tedesconi risulta di facile assimilazione e con una discreta longevità per via delle differenti soluzioni che, tra un brano e l’altro, donano una buona particolarità ai singoli episodi. Riguardo quest’ultimo aspetto, nella tracklist vi è spazio anche per un brano strumentale (“Oblivion”) ed il sofferente finale acustico della conclusiva “Bloodshot Eyes”, capace di porre fine in maniera elegantissima all’atmosfera umida e nuvolosa che il disco sprigiona.
Gli unici appunti a contrastare con tanto pregio sarebbero in primis la produzione, troppo simile alle band affiliate al genere negli ultimi anni (date le liriche mi sarebbe piaciuto qualche effetto ‘atmosferico’ in più) che smorza un po’ la personalità dei Nostri, e senza scordare un’eccessiva omogeneità di fondo lungo tutto il disco in quanto si potrebbe potuto osare ancora di più per personalizzare ulteriormente i singoli frammenti del disco.
Per il resto, se amate il death melodico ed i rifacimenti più moderni del metal estremo, questa è sicuramente della roba fa per voi. Mentre, per quanto mi riguarda, questi Dying Humanity escono fuori dal verdetto discretamente promossi, seppur con qualche riserva perché nonostante la discreta personalità il genere da loro proposto è comunque decisamente inflazionato allo stato attuale. Se in futuro sapranno distaccarsi maggiormente da questi cliché allora vorrà dire che avremo tra le mani una band di prim’ordine: allo stato attuale, è solo ‘un’ottima band, tra tante ottime band’.
Giuseppe “Maelstrom” Casafina