Recensione: Deadly Scenes
I francesi 6:33 sono più di una band da tenere d’occhio, una realtà che sta continuando a offrire grande musica, purtroppo poco conosciuta all’interno del nostro circuito metallico. Propongono dell’avantgarde con camionate di soluzioni musicali e lo fanno con un’attitudine scanzonata e allegra. Il precedente The Stench From The Swelling (A True Story) fu uno dei dischi migliori del 2013. Saranno riusciti i nostri a ripetere l’impresa?
Venendo brevemente alla line-up, questa volta non è presente il buon Arno Strobl al microfono, ma Rorschach riesce nell’intento di non farne sentire la mancanza, in maniera piuttosto naturale e convincente, con marcatissime influenze del grande Mike Patton. Niente da dire, altresì, circa la produzione: ogni strumento è al suo posto e si sente, nulla da segnalare in questo senso come sul piano prettamente esecutivo.
“Hellalujah” apre l’album, per un secondo sembra stia iniziando “Fat Bottomed Girl” dei Queen, poi spazio al delirio! In tre minuti e quaranta la band sciorina una prestazione da urlo che passa dal musical, ai Diablo Swing Orchestra, con intermezzi estremi e voci maschili e femminili che fanno un po’ ciò che vogliono; il tutto descritto a parole sembra una schifezza, una volta premuto play risulta invece irresistibile! “Ego Fandango” triplica le carte in tavola arrivando anche a proporre attimi ska; vi sono stacchi uno più assurdo dell’altro e un mood che non farà altro che mettervi di buon umore. Non male il cambio totale di umore appena passata la metà del pezzo in cui si sfiora il crossover e chi più ne ha più ne metta.
“The Walking Fed” inizia in maniera più o meno tribale con largo spazio dato alle percussioni, che presto vengono accompagnate dalla voce parlata e si ha la sensazione di stare ascoltando un rito di qualche tipo. L’atmosfera è mantenuta e la canzone si articola in maniera prima crescente poi decrescente, facendo sfoggio di un ottimo arrangiamento e non risultando mai prevedibile. Ha il solo difetto di preparare costantemente il terreno per un’esplosione che non arriva mai; solo qualche timida apertura in un mare di tensione che non trova uno sfogo.
“I’m A Nerd” tira fuori dal cilindro tutta l’energia accumulata in precedenza e la sprigiona con un pezzo di avantgarde piuttosto estremo, in cui tutti i concetti precedentemente esposti si saturano e colpiscono l’ascoltatore con bordate di potenza ritmiche allucinanti, sostenute dalle più ariose delle linee vocali, con tanto di campanellini in sottofondo! Questa è follia; c’è spazio per intermezzi pop, grind, groove e ogni tipo di diavoleria concessa dalle sette note, uno dei momenti migliori dell’album.
“Modus Operandi” ci riporta indietro di qualche decennio rivelandosi un altro “carico da undici”; colpiscono il fare teatrale, la voglia di raccontare e il predominio del pianoforte non infastidisce praticamente mai. Ci si trova un senso dopo molti ascolti, persistete! “Black Widow” non si discosta da ciò che finora è stato proposto, anzi, rigira gli elementi della frittata e risulta l’ennesima, divertentissima scheggia impazzita; non si riesce mai a capire dove la band andrà a parare nell’immediato futuro ed è un bene. È il pezzo più complesso e difficile d’assimilabile di Deadly Scenes, ma in grado di dare soddisfazioni e strappare più di un sorriso.
“Last Bullet For A Gold Rattle” è un piacevole intermezzo strumentale con un incedere country e ad alto tasso di ballabilità; con “Lazy Boy”, invece, le cose tornano a farsi serie. I primi secondi scimmiottano allegramente Sua Maestà Devin Townsend, per poi esplodere con una partitura apparentemente estrema, che presto rallenta e si assesta su un lento/andante con brio, che andrà benissimo quest’estate in spiaggia mentre sorseggerete qualsiasi cosa tranne acqua. Verso la metà della traccia si torna a picchiare e l’arrivo del finale è naturale quanto ben suonato; di buona presa il ritornello. Chiude la titletrack, con la domanda: «Hey kids, you like violence?» e un «Yeah, yeah» da parte di un coro di bambini in risposta. È la traccia più lunga dell’album coi suoi tredici minuti, ma si rivela ben concepita e articolata. Riserva molte sorprese e a tratti sembra la colonna sonora ben riuscita di un film porno degli anni ’80; non vogliamo però rovinarvi la sorpresa e filiamo dritti alle conclusioni.
Cosa rimane da dire? I 6:33 centrano ancora una volta l’obiettivo con un disco fresco, folle e soprattutto divertente; non siamo davanti ad un capolavoro ma non si può neanche dire che Deadly Scenes non sia una gran bella prova. Se siete amanti di tutto ciò che è contaminato e dei gruppi che suonano (bene) 614 generi in un solo pezzo, fiondatevi a comprarlo, non rimarrete di certo delusi! Nel caso invece abbiate la mentalità più ortodossa compratelo lo stesso: avrete un gran bel lassativo X)