Recensione: Death Becomes My Voice
Gli statunitensi Ringworm sono la tremenda creatura del tenace James ‘Human Furnace’ Bulloch, al secolo HF, vocalist la cui caratteristica principale è quella di non esserlo affatto, che li ha fondati nel 1991, e del chitarrista Mark Sorg, entrato nella band in occasione del secondo album ‘Birth is Pain’ del 2001.
Intorno a questi due artisti hanno ruotato e si sono alternati molti musicisti, fino all’album ‘Snake Church’ del 2016. Da quel momento pare che in casa Ringworm regni, almeno apparentemente, la stabilità, visto che con la stessa formazione è stato pubblicato ‘Death Becomes My Voice’, il nuovo album distribuito via Relapse Records dal 3 maggio 2019.
Dediti fin dalle origini ad un violento Hardcore Thrash, in ‘Death Becomes My Voice’ i Ringworm provano a cambiare qualcosa, aggiungendo al loro sound elementi più moderni, come i blast beat o linee melodiche più articolate, senza comunque rinunciare alla ferocia che li caratterizza.
Il risultato è un album più Thrash e meno Hardcore, non tutto incentrato sulla velocità modello missile ma con alcuni pezzi malignamente cadenzati.
Il difetto è che il lavoro, tolte una manciata di tracce, suona un po’ tutto uguale, in quanto HF ‘canta’ sempre nella stessa maniera, praticamente senza variazioni tonali e con una voce terribile, spaventosamente incazzata, come se qualcuno gli abbia pestato i calli in sala d’incisione, quasi annullando la creatività dei suoi compagni di squadra che, invece, riescono a tessere valide strutture.
Così è il primo brano, che dà il titolo all’album: in ‘Death Becomes My Voice’ le chitarre intrecciano una melodia coinvolgente, su un ritmo violento e deciso. Questa però viene soffocata da una voce assassina, che parte a raffica in contrapposizione ad essa e senza pause, staccando solo al momento dell’interludio e dell’assolo.
Il lavoro strumentale è buono anche nella successiva ‘Carnivores’, con una ritmica che amplifica la ferocia, anche per mezzo dei già citati blast beat; purtroppo e sempre la voce che … ma è inutile ripetersi.
Con ‘Acquiesce’ i Ringworm cominciano ad introdurre un tempo più lento, comunque potente, durissimo e feroce con un accelerazione finale con le chitarre in sincrono molto interessante. E’ un pezzo che fa risaltare le potenzialità dei musicisti.
L’esperimento di marciare più lento viene ripetuto nella fosca ‘Dead to Me’, che alterna cadenza a velocità, ed in ‘Separate Realites’, che rallenta parecchio.
Per il resto dell’album domina la velocità a spron battuto, eccetto che in ‘Dying by Design’, dove questa è un po’ più controllata.
‘Death Becomes My Voice’ sembra segnare un periodo transitivo, una fase in cui i Ringworm stanno scegliendo se percorrere sentieri con più curve oppure se continuare a tirare dritto.
Personalmente preferirei la prima soluzione, dato che nel disco si sentono tante buone idee, adeguando al sound il modo di cantare per far si che anche la parte dei musicisti venga esaltata, nel modo che meritano.
Parere che non credo vada d’accordo con i fans più estremi del combo, ma non possiamo pensarla tutti allo stesso modo.
Infine, la versione in CD contiene, rispetto a quella in vinile, due bonus track: ‘I Hide in You’ e ‘I’m Not Right’ cover dei Guns.