Recensione: Death Has No Calling Card
Quante band nate negli anni ’80 sono rimaste inosservate perché sopraffatte da tutte quelle mitiche produzioni che hanno fatto la storia (ed in molti casi, ancora la dettano) senza riuscire ad emergere, pur se dotate di buon talento e capacità?
Moltissime ………… tra queste i Bad Karma di Boston, nati nel 1985, oggi ancora presenti, ma con all’attivo solo tre demo pubblicati negli anni 1988, 1990 e 1999.
Oggi, la label Statunitense Shadows Kingdom Records propone la rivalutazione del combo, riunendo i tre demo in un’unica compilation dal titolo ‘Death Has No Calling Card’ (dal primo demo), data alle stampe il 27 aprile 2017.
Nel periodo di tempo in cui i Bad Karma incisero, il Metal subì diversi cambiamenti, non tutti con risvolti positivi a dir la verità, soprattutto per quel che riguarda il Thrash Metal.
Ascoltando ‘Death Has No Calling Card’ che, appunto, abbraccia tale periodo, di aspetti negativi non se ne sentono.
La produzione del lavoro, curata e professionale, evidenza le qualità dei musicisti, che elaborano sezioni ritmiche molto dinamiche e granitiche per supportare un cantato graffiante ed arrabbiato al punto giusto ed assoli molto incisivi quanto melodici.
L’attaccamento al Thrash statunitense fatto esplodere dalla ‘prima ondata’ è udibile in tutta la compilation, anche nelle tracce scritte anni dopo la nascita del movimento. Queste ultime, pur se sono il risultato di una ricerca sonora più accurata ed evoluta, non hanno patito dei cambi di direzione, che invece avevano intrapreso gruppi ben più blasonati con risultati non proprio soddisfacenti.
Inoltre i Bad Karma uniscono alla cattiveria dei Thrash la massiccia potenza dall’Heavy Metal classico, ottenendo, come effetto, un unico proiettile che, sparato da un cannone, deflagra con irruenza sul bersaglio.
(Bad Karma old lineup)
La compilation comprende undici brani, per una durata complessiva di quasi un’ora di acciaio fuso incandescente, di partitura variabile ed articolata frutto di una buona ricerca compositiva.
L’opener ‘Death Has No Calling Card’ ha un inizio potente e marziale che porta a strofe dinamiche ed arrabbiate ed a un refrain pestato; poi un break conduce ad un tempo medio che alterna melodia e potenza e poi ancora ad un lungo assolo dove le chitarre giocano in chiave Metal fino alla fine.
‘Shadows of Yesterday’, con i suoi sette minuti e mezzo, è un potentissimo brano cadenzato carico di tragicità ed atmosfera che potrebbe stare benissimo tra le più belle canzoni del periodo d’oro, andando oltre il semplice concetto di ballata.
‘Tame The Beast’ è una rasoiata alla gola nella quale il Thrash impazza fino ad un assolo melodico sostenuto da un ritmo energico. Il pezzo è dominato da una solida batteria, particolarmente presente per accompagnare due enfatiche Twin Guitars.
‘Enter You Become’ è un brano molto articolato, con un arpeggio d’atmosfera iniziale sostenuto da un buon basso e strofe melodiche interposte ad altre cadenzate ed energiche. Ampio spazio è dato alla capacità dei musicisti.
‘Unsane’ è preceduta da un intro profondo che ne anticipa la potenza e la rabbia. Le parti musicali, che alternano velocità e rallentamenti, sono cavalcate autorevoli, con un buon lavoro del basso, che va oltre la sola ritmica, e delle quasi sempre presenti Twin Guitars.
‘Capitol Punishment’ dimostra il percorso evolutivo del combo, con le sue velocità a varie andature ed un’insana manifestazione di potenza.
‘The Final Chapter’ inizia con una melodia di pianoforte sulla quale s’interseca un arpeggio di chitarra. Poi strofe lente e tragiche prendono potenza per caricarsi di rabbia fino a cambiare facendo diventare il pezzo ancora più forte per trasformarlo nuovamente in una parte melodica e poi ancora per tornare alle origini.
‘Twist Of Fate’ è un pezzo veloce e vivace, mentre ‘Destiny’ ha una struttura un po’ sofferta, con una chitarra quasi orientale ed un buon assolo in chiave Metal.
La compilation si chiude ottimamente con la cover di ‘Billion Dollar Babies’, classico tratto dall’omonimo album del ’73 degli Alice Cooper, con la quale i Bad karma trasformano la carica sfacciata ed il senso oscuro originali del pezzo in potenza allo stato puro, secondo i canoni dell’epoca.
Perché i Bad Karma non abbiano raggiunto il meritato successo non si sa; di sicuro, nel corso della loro storia, hanno prodotto buone canzoni e ci si augura che, con la compilation ‘Death Has No Calling Card’ questo venga definitivamente riconosciuto.
La grande forza d’animo della band è rappresentata dalla storia del loro chitarrista e cantante Alec Dowie, che, nel 1985, ebbe un incidente con la sua motocicletta che provocò la paralisi della mano destra. Alec non si arrese e da allora suona la chitarra, alla grande e con un proprio stile, utilizzando la sola mano sinistra, a dimostrazione che nulla può fermare chi ha un obiettivo da raggiungere.
(I Bad Karma oggi)
Ad oggi la formazione è parzialmente cambiata: ai capostipiti Alec Dowie e Dana Guiod (bassista) si sono aggiunti il chitarrista Frankie Murphy ed il batterista Stuart Dowie, quast’ultimo anche negli storici Meliah Rage dal 1988.
Con tutti questi presupposti aspettiamo con molta curiosità il primo vero album. Per ora giudizio positivo per una band che, pur non avendo ancora inciso veri Full-Length, può dirsi storica e facente parte dei grandi del Metal.