Recensione: Death Is Calling
Annihilator, Annihilated, Annihilation, Anialator … c’era una gran confusione negli anni ‘80! Poi c’è stato chi ha ottenuto un gran successo, come i primi, chi ha fatto un po’ meno, ma comunque bene, come i secondi, c’è chi invece è stata una meteora, neanche troppo fiammante, come i terzi (in realtà ai tempi erano ben due le band che si chiamavano Annihilation) ed infine c’è chi ha deciso di tornare con prepotenza, come i quarti.
Per essere onesti degli Anialator originali, che all’epoca avevano messo in giro un paio di EP violenti, grezzi e sporchi come pochi (‘Anialator’ del 1988 e ‘Anialator II’ del 1989), a tornare è stato solo il bassista Alex Dominguez, che nel 2018 aveva pubblicato l’ennesimo EP ‘Rise To Supremacy’, mantenendo il monicker ma sostituendo tutta la lineup.
Ora ci riprova. Mette assieme una nuova band, reclutando musicisti esperti del mondo estremo underground (al quale appartiene anche lui, del resto) e finalmente gli Anialator pubblicano l’album di debutto: ‘Death Is Calling’, disponibile dal 22 ottobre 2024 via Xtreem Music.
L’album è sulla linea dei precedenti lavori: un assieme di Slayer, Sepultura e Dark Angel, con dentro tutta l’esperienza di chi queste cose le fa da sempre e non la sta a raccontare. Brani diretti, solidi e massicci, che vanno dritti al punto senza nessun elemento dissuasivo al loro interno: in tutto il Full-Length non c’è un’introduzione pomposa, un arpeggio, un momento epico … neanche uno di quegli effetti inquietanti tipici come temporali, rumori di guerra o folli assassini che si aggirano per casa, il disco inizia e finisce con l’unico scopo di colpire duro ad ogni solco che gira.
E questo fa: brani che viaggiano essenzialmente tra il veloce ed il velocissimo, con solo qualche rallentamento qua e là, giusto il minimo indispensabile per migliorare la forma del songwriting (con l’eccezione nella parte finale di ‘Relentess’, dove la frenata è più pronunciata), una voce roca e feroce, con un minimo di riverbero nei punti più estremi per esaltarne la malvagità, ritmiche ruvide e super compatte, una batteria terremotante ed un wall of sound impenetrabile. Una formula semplice ma efficace che porta a poco più di mezz’ora di tuoni, tempeste, fulmini e saette.
In altre parole quello degli Anialator è un Thrash Metal violento e bastardo, infrangibile, intriso anche di una qual certa follia che ne esalta il furore. Lo è sempre stato, ‘Death Is Calling’, però, ne costituisce l’apice.
Poi, anche quest’album ha le sue sbavature: ad esempio il disturbo dato dalla frenesia a volte è eccessivo, il cantato nelle fasi più smodate diventa un po’ uno sbraitare e le influenze si sentono parecchio (in ‘Hear The Death call’ su tutte).
Però, tirando le somme, alla fine tutto viaggia bene, grazie anche ad una produzione che esalta i suoni senza pulirli troppo, creando la giusta atmosfera pesante ed ombrosa, e a degli arrangiamenti sofisticati, soprattutto per quel che riguarda il lavoro asincrono delle chitarre, molto preciso e ficcante.
Insomma, 35 anni di ritardo ma va bene così: ‘Death Is Calling’ non produce nulla di nuovo ma, come detto all’inizio, colpisce duro. Un altro vecchio leone ha ripreso a ruggire … la lotta per il territorio è sempre più accesa.