Recensione: Death Is This Communion
Lo stoner/metal è un genere ancora di non
facilissima definizione, nonostante sia sulla breccia ormai da diversi annetti,
ma di sicuro ha esponenti che sanno farsi valere: in mezzo all’ondata di gruppi
accodatisi al filone ci sono quelli che tirano il carro, e tra loro gli High
On Fire sono sicuramente ai primi posti. La band di San Francisco sin dal
2000 sforna dischi di alta qualità, tanto da accaparrarsi le attenzioni di
mamma Relapse, da tempo ormai attenta a questo tipo di sonorità; e premurosa
nel pubblicare e dare il giusto rilievo anche al nuovo Death is the
communion, disco davvero in grado di far loro compire il definitivo
salto di qualità.
A questo scopo potrebbe anche aiutarli la fama
raggiunta dai Mastodon, che dallo stoner attingono parecchio,
specialmente la psichedelia di alcuni passaggi e le parti vocali: anche se la
base musicale è decisamente più quadrata, massiccia, sfido chiunque a non
riscontrare la somiglianza dei quattro di Blood Mountains su un
pezzo come Waste of Tiamat, una badilata in pieno volto capace di evocare
però atmosfere epiche, grazie ad un andamento quasi onirico, seppur violento.
L’album è un ottimo concentrato di atmosfere compatibili ma diverse, del resto:
incredibile come la bellissima title-track, con la sua pesantezza, il suo basso
martellante, la cadenza implacabile si incastri bene con i pezzi più veloci del
lotto, ad esempio. Le diverse anime dell’album si scontrano anche nel binomio Khanrad’s
wall/Turk, psichedelico strumentale la prima, con rimando orientali,
ruvida ed abrasiva la seconda, eppure così ben assortite da suonare
praticamente perfette consecutivamente.
Molta della qualità finale degli High On Fire del
resto deriva dall’espressiva e potente prova vocale di Matt Pike,
praticamente perfetto: un tagliaboschi canadese al suo ritorno da una stagione
di lavoro in totale isolamento non potrebbe essere più violento ed incazzato,
eppure quello che non manca è anche il vibe giusto, la capacità di
saper interpretare le singole parti senza puntare al solo impatto frontale.
Essere grezzi è una delle loro prime scelte, in ogni caso, ma di nuovo va
ricordato come sia solo funzionale ad un sound mai improvvisato o superficiale. Rumors
of war è un altro episodio che vi porterete dietro per giorni: militaresco,
come è ovvio, vicino ai Motörhead per molti versi, ma diretta al punto,
almeno fino a quando si lascia andare ad una delle parti soliste più belle del
disco; e DII è il suo degno seguito, con un finale di moog (proprio lui,
il primogenito dei sintetizzatori risalente agli anni ’60) da brividi.
Disco che va scoperto con calma e con calma
assaporato: lo spessore è raro, così come la sua qualità. Avete ancora dubbi
su cosa fare quando lo vedrete in vetrina?
Alberto Fittarelli
Tracklist:
1. Fury Whip 06:14
2. Waste of Tiamat 05:44
3. Death is this Communion 08:35
4. Khanrad’s Wall 02:27
5. Turk 05:03
6. Headhunter 01:24
7. Rumors of War 02:51
8. DII 03:45
9. Cyclopian Scape 07:29
10. Ethereal 06:57
11. Return to NOD 06:17