Recensione: Death Revenge
A distanza di diciannove anni dal debut-album “Gore Metal” tornano, appunto, i Signori dello splatter/gore: gli Exhumed. Tornano con un album nuovo di zecca, “Death Revenge”, dato alle stampe dopo la compilation “Gore Metal: A Necrospective 1998-2015”.
Il termine gore metal corre spesso, nella biografia della band statunitense, quasi a voler sottolineare che si tratti di un genere a sé stante. Ma, in fin dei conti, ciò che suonano gli Exhumed alla fine è death metal. Semplice death metal. Certamente dalle tematiche gore, ma pur sempre death metal, seppure inframezzato a volte da brevi strumentali in stile film horror.
Allora, il mastermind Matt Harvey conduce la sua band verso i territori in cui regna il death estremo, quello ortodosso, quello puro. Derivato, in primis, dai Morbid Angel anche se, occorre sottolinearlo, la potenza in gioco è diversa, giacché gli Exhumed volano spesso oltre la barriera del suono. E, quando lo fanno, i claustrofobici blast-beats del drummer Mike Hamilton non lasciano alcuna via di scampo. A nessuno.
Non solo alte velocità, però. L’intreccio delle chitarre regala a volte elementi melodici di pregevole fattura (‘Defenders of the Grave’, ‘Lifeless’), ideali per mandare a memoria la sequenza delle song. Proprio ‘Lifeless’, inoltre, propone un main-riff capace di ribaltare un carro armato, tenuto su dal bombardamento al calor bianco dei blast-beats.
Le linee vocali sono composte da due voci: una in growling/inhale, l’altra in semi-screaming; potendo così movimentare le varie tracce evitando di proporre i soliti cliché. Peraltro, l’inhale rende moderno un sound che tende a richiamare il death e il thrash degli inizi degli anni novanta, quando nacque il quartetto di San Jose.
Di passi in avanti, da allora, Harvey ne ha compiuto, regalando ai suoi Exhumed un suono dotato di due facce: una un po’ retrò, basata sul death metal dei primordi, una attuale, riconducibile ai più avanzati modelli di death metal canonico. Perché la base, il death classico, non muta mai forma da coordinate che lo rendono ricco di spessore, questi derivante dall’ampio retroterra culturale che le migliori formazioni del genere hanno costruito nel corso degli anni e che gli Exhumed hanno fatto proprie.
Non poteva mancare anche qualche richiamo agli Slayer, qua e là, ma si tratta, di nuovo, di rispettare un genere così com’era nel 1991/1992. Solo echi, che non minano assolutamente lo stile rabbioso e devastante degli Exhumed. Uno stile sicuramente non originalissimo ma talmente ben elaborato da non presentare difetti evidenti.
I brani scorrono rapidamente, con fluidità e scioltezza, dimostrando così un’ottima sinergia fra la sezione ritmica e il resto, voci comprese. Fattispecie esemplificata dalla violentissima ‘Unspeakable’, canzone che assomma a sé anche un break rallentato che, seppur possente e trascinante, lascia intendere che gli Exhumd diano il massimo di sé proprio quando spingono al massimo il piede sull’acceleratore.
Fra i tanti gruppi di death metal che sono sopravvissuti alla moria degli anni novanta, gli Exhumed sono fra i migliori. Per comprenderlo appieno occorre ascoltarli a fondo, puntando l’attenzione sui pezzi più devastanti, come per esempio la brutale e aggressiva ‘The Harrowing’: un vero must per i deathster. Un vero must (quasi) per tutti.
Daniele “dani66” D’Adamo