Recensione: Death To All
È quasi incredibile vedere come si sia evoluta la carriera dei Necrophobic: nati per volere di David Parland, re Mida svedese, considerato uno dei più grandi talenti di quella terra (è il Blackmoon dei Dark Funeral, tra gli altri) nel 1989, in pieno boom swedish death, sono sopravvissuti alla partenza del loro leader, al collasso di ben due label in fila, per tornare nel 2006 con Hrimthursum, che finalmente li metteva sotto ai riflettori come meritavano. Di quel disco, ora ripescano tutto sul nuovo Death to All, e la qualità è persino maggiore.
Il gruppo è sempre stato penalizzato in un certo qual modo da un’identità non del tutto definita, cosa comprensibile se si pensa alle traversie da loro passate. Spawned By Evil (EP del 1996) e soprattutto Darkside (1997) li lanciavano però tra le realtà migliori del death/black scandinavo, con una predilezione per il secondo dei due generi citati; i Dissection erano probabilmente un’influenza troppo attraente per rimanere separata dalla loro musica, e la filosofia “satanica”, occulta dei testi del gruppo faceva il resto. Bene, Death To All è l’apoteosi di queste caratteristiche, ma è anche l’album in cui il suono Necrophobic trova del tutto la sua dimensione.
Orfana dei (veri) Dissection ormai dall’imprigionamento del loro leader, la scena scandinava è profondamente mutata, lasciando i Necrophobic a portare il vessillo del metal estremo melodico ma integralista: e un inno come For those who stayed Satanic dice tutto sulla consapevolezza che hanno del proprio ruolo odierno. Un pezzo epico, con cori puliti, una melodia che attrae senza scampo e delle vocals – quelle di Tobias Sidegård – davvero malefiche, quasi passionali nel loro interpretare le lyrics. Certo, la fiera dei cliché è servita, ma che ci importa? Non è proprio il caso di fare gli snob davanti a qualità simile, del resto.
Qualità che si mantiene sullo stesso livello – attenzione – per tutta la durata dell’album, e proprio questa è la forza di Death To All: pescate a caso nella tracklist e avrete idee, atmosfere, vere e proprie evocazioni, tutta la violenza e il feeling del death scandinavo (che si intende come quello originario – il resto non è death, a prescindere dalla sua qualità) unita alla malvagità del black di stampo ovviamente svedese, e quindi pulito e melodico. L’apertura con Celebration of the Goat è quasi da urlare, al momento dell’arrivo del chorus; i riff di La Satanisma Muerte hanno tanta ispirazione da riempire un intero disco medio, fino ad arrivare a quel coro, passato da poco il secondo minuto, che nei concerti farà sfracelli; la title-track unisce arpeggi semi-acustici a un feeling quasi sinfonico da brividi…
Feeling, questa è la parola chiave: nell’impossibilità di definire quanto death e quanto black ci siano in questo album (sempre che sia importante farlo, e ci permettiamo di dubitare), è fondamentale rendersi conto che ciò che non è mai cambiato nei Necrophobic, migliorando anzi di disco in disco, è l’atmosfera, il vibe trasmesso ai propri pezzi. Lo stesso che animava malevolmente i capolavori death e black del passato.
Death To All è un disco monumentale per la sua classicità: sicuramente uno degli album dell’anno già adesso, insieme al ritorno sulle scene degli Unanimated, e sicuramente uno dei dischi che le grosse label e “i grossi media” snobberanno, in quanto non divertente e non ammiccante. Per fortuna.
Alberto Fittarelli
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Tracklist:
1. Celebration of the Goat 04:42
2. Revelation 666 06:54
3. La Satanisma Muerte 03:36
4. For those who stayed Satanic 04:57
5. Temple of Damnation 05:55
6. The Tower 04:45
7. Wings of Death 05:12
8. Death to All 08:44