Recensione: Death Unchained
Il contratto discografico con la label specializzata olandese Non Serviam Records e via, subito il debut-album, “Death Unchained”. Un cammino brevissimo che non deve assolutamente ingannare. I Nexorum sono norvegesi, e da questo Paese è lecito aspettarsi, sempre e comunque, metal estremo di ottima qualità. E così è: malgrado la (teorica) poca esperienza in materia, la band vola sulle ali di una completa maturità artistica e di una totale professionalità esecutiva.
I Nostri suonano blackened death metal, cioè death metal sporcato, annerito, strisciato dalla caligine nera propria del black metal. Un processo evolutivo che è partito da un genere puro, incrociato con un altro genere altrettanto puro, sì da generare una sotto-tipologia spuria. Non per questo segnata comunque da una grande – in questo caso – abilità, sia per quanto riguarda il maneggiamento degli strumenti musicali, sia per quanto riguarda la creazione di uno stile adulto, irreprensibilmente formato, lucidamente identificativo di un timbro su cui è scritto, in rilievo, Nexorum.
Suono possente, quindi, tirato a lucido, secco e aspro similmente a quello delle derivazioni *-core; simile, pure ad altri act praticanti la stessa attitudine oltranzista, come i Behemoth, per tirar fuori dal cilindro un esempio non a caso. Il che è abbastanza ovvio, giacché via via che le tipologie musicali si suddividono in una discendenza verticale, i margini di movimento sono sempre più stretti. Il blackened death metal è questo, e poco di diverso può mettere sul piatto.
Batteria dal drumming quasi sempre inchiodato sulla tremenda violenza dei blast-beats. Riffing feroce, tagliente come la lama di un bisturi, voce stentorea a pieni polmoni – rimandante quindi agli albori del tutto – , basso che romba come un immenso temporale in lontananza. Umore cupo, tetro, arcigno sino a divenire, in taluni casi, maligno (‘Retribution’). Mancanza di melodia, anche se il combo di Trondheim fa di testa sua e l’infili nella tremenda mazzata che risponde al nome di ‘Procession of the Damned’. Una canzone che svela l’anima più profonda della band, ricca di passione, di pathos, di voglia di emergere, di spessore emotivo; vogliosa di liberarsi dalle spire di una foggia musicale stringente nei suoi riflessi stilistici.
Il sound di “Death Unchained” è costantemente assestato su elevatissime vette di pressione sonora, il suo fronte spinge con grande intensità, sminuzzando immaginari ed estesi tappeti di teschi umani. Nonostante ci si trovi davanti a un’Opera Prima, nessun dettaglio lascia intravedere indecisioni di sorta. Il gruppo scandinavo, infatti, aggredisce con controllata veemenza, attaccando con un suono compatto, granitico, coeso, che non presenta in alcun modo cali di tensione, anomalie nella costante erogazione di watt.
Il songwriting non manca un colpo, quindi, nel realizzare una struttura sonora equilibrata, simmetrica, che non si piega né si spezza. Risultando, a vece, leggermente acerbo nell’elaborare pezzi che riescano a bucare la memoria. Leggermente, poiché anche in questo caso i Nexorum riescono ad apparire pienamente formati per costruire eccellenti brani, la cui sequenza, tuttavia, non è del tutto omogenea. Probabilmente, a parere di chi scrive, si tratta solo di un peccato di gioventù. L’unico. Anche se tracce sopra la media ci sono, come le due più su menzionate e la mostruosa, titanica, ‘Antediluvian Purification’.
Il blackened death metal esige grande preparazione tecnica in virtù dei suoi complessi meccanismi vitali, per cui non sono poi così tante, le realtà a oggi presenti sul campo. Ragione di più per non perdersi, da parte dei fan del genere, “Death Unchained”. Che, inoltre, per la sua correttezza formale, può servire da nave-scuola per entrare nel mondo sognato e immaginato dal genere stesso.
Daniele “dani66” D’Adamo