Recensione: Deathhammer
Se c’è un personaggio che è universalmente rispettato e stimato all’interno della scena death metal europea, questo è sicuramente Mr. Martin Van Drunen, vocalist e bassista che, fin dalla metà degli anni ’80, imperversa nel Vecchio Continente quale orgoglioso portabandiera di una musica estrema, essenziale e senza compromessi. Ancora quando il termine “death metal” non aveva forse trovato una vera e propria codifica, aveva portato all’esordio gli storici Pestilence, accompagnandoli fino a quel capolavoro che porta il nome di Consuming Impulse. Al termine di tale avventura, si era fatto carico di battezzare la band oggetto della presente recensione, con un album altrettanto seminale e fondamentale quale The Rack. In un periodo in cui un certo tipo di death metal la faceva da padrone, si era unto agli svedesi Comecon, prestando il proprio operato per l’affascinante, seppur meno noto, Converging Conspiracies del 1993. Tanto dinamico quanto insofferente verso le lunghe relazioni musicali, Van Drunen aveva intanto già lasciato gli Asphyx, per una seconda metà degli anni ’90 sicuramente più calma, con sporadiche apparizioni live con l’albionica armata che porta il nome di Bolt Thrower.
Molti anni di silenzio, quindi, fino ad arrivare quasi ai giorni nostri: la creazione di una nuova “death metal elite” a nome Hail Of Bullets e il classico rientro negli storici Asphyx con l’ottimo Death…The Brutal Way del 2009. A tre anni di distanza, Deathhammer giunge ad annichilirci con l’inconfondibile pesantezza della band “orange”. Diversamente dagli Hail Of Bullets, le cui dinamiche sono certamente più strutturate, costruite e d’atmosfera, l’attacco degli Asphyx è notoriamente più basico, lineare e istintivo. Cadenzato (tanto da scivolare nel doom, spesso e volentieri), il death metal dei Nostri è di sicuro fatto più con lo stomaco e con il cuore che con la testa. E questa nuova fatica non sposta di una virgola la reputazione della band.
Nessuna intro d’atmosfera, nessuna partenza in crescendo, l’attacco è immediato e sfrontato, a testa bassa; pochi minuti di riscaldamento e si arriva subito alla title-track (da cui è stato anche tratto un video, essenziale come si deve, incentrato su strumenti e sull’espressione straziata del frontman): Deathhammer è da antologia ‘olde school’, come usa dirsi ultimamente: palm muting continuo sulle corde basse, distorsione classica, accordatura ribassata ma non troppo, breaks di scuola thrash e un’antifona che non ammette dubbi: “This is true Death Metal, you bastards!”, per un pezzo che dal vivo diventerà un inno. Dopo aver invitato le proprie orde bestiali (“you dogs!”) a piegarsi dinanzi alla pura forma del death metal (invito a leggere delle liriche, mai tanto esplicite in questo senso), gli Asphyx cambiano registro per mostrare il loro lato più pachidermico: Minefield ricorda gli ultimissimi lavori di Thomas G. Warrior (i Celtic Frost di Monotheist e i Triptykon), mentre Of Days When Blades Turned Blunt sembra tirata fuori da The End Complete degli Obituary.
Nessuna ricerca musicale, nessuna voglia di ostentare soluzioni nuove o particolari, nessun desiderio di ricreare atmosfere ad effetto (per quello ci sono i quasi cinematografici Hail Of Bullets, del resto!): con gli Asphyx sembra di avere a che fare con i Motorhead in versione death metal e se qualche pezzo mostra un minutaggio superiore è solo per aver la possibilità di alternare a dovere accelerazioni e rallentamenti (e che non si parli di breakdown, per favore!). L’album scorre fluido, con qualche momento davvero degno di nota (spettacolare la linea di chitarra solista di Paul Baayens in Der Landser che ricorda i primi Paradise Lost) e senza particolari cedimenti. Un paio di pezzi meno memorabili impediscono all’opera di essere un vero e proprio capolavoro, tuttavia non costituiscono un particolare problema e fungono da tramite tra i numerosi climax del cd. A questo proposito, come non menzionare la conclusiva As the Magma Mammoth Rises, che suona come dei Venom rallentati in salsa death? Pesante come un macigno, inesorabile nel suo incedere.
Con Deathhammer gli Asphyx si riconfermano assolutamente come i paladini di un certo modo di suonare il ‘metallo della morte’, o di…viverlo, se perdonate l’ossimoro. Un album che non inventa nulla di nuovo (del resto, penso, nessuno se lo aspettava) per un genere che, avvicinandosi ai trent’anni di vita, sembra stare godendo di una nuova giovinezza. E il merito è anche di questi veterani.
Vittorio “Vittorio” Cafiero
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Tracklist:
1. Into the Timewastes
2. Deathhammer
3. Minefield
4. Of Days When Blades Turned Blunt
5. Der Landser
6. Reign of the Brute
7. The Flood
8. We Doom You to Death
9. Vespa Crabro
10. As the Magma Mammoth Rises
Durata: 47 minuti c.a.
Line-up:
Bob Bagchus – Drums
Martin van Drunen – Vocals
Paul Baayens – Guitars
Alwin Zuur – Bass