Recensione: Deathless Crescendo
Dopo un silenzio di cinque anni giungono al secondo demo i Pathosray, heavy/prog act del nord est italico con una buona esperienza dal vivo alle spalle. A seguito di una rapida serie di avvicendamenti nelle proprie fila, la band giunge oggi a dare un seguito a “Strange Kind of Energies” (2001) con le quattro tracce che compongono questo “Deathless Crescendo”. Quattro tracce che, diciamolo subito, non sfigurerebbero affatto su un vero e proprio full-length.
“Symphonic prog su base ritmica heavy metal”, o forse sarebbe meglio dire heavy metal dalle tinte symphonic prog: il concetto è che questi cinque ragazzi riescono laddove molti altri falliscono: coniugare la pontenza e il dinamismo dell’hard n’ heavy di vecchia scuola con il raffinato eclettismo del rock progressivo. Ingredienti essenziali della ricetta Pathosray sono una padronanza degli strumenti di prim’ordine e un attitudine decisa e grintosa, che si manifesta nel piglio energico e trascinante di brani.
L’epica “Faded Crystals” colpisce immediatamente duro con le chitarre bene in evidenza, supportate da una scenografia sinfonica, maestosa ma non invadente, secondo uno stile che può richiamare alla mente certe cose dei Symphony X più diretti. Subito in evidenza Marco Sandron al microfono: il suo timbro è potente e versatile, l’estensione vocale di tutto rispetto. Ciò lo porta talvolta ad abusare dei propri mezzi e a tentare l’acuto con una certa frequenza. Il suo talento tuttavia pare invece esprimersi al meglio quando decide di aggredire frontalmente l’ascoltatore, con vocalizzi ruvidi e diretti che ne esaltano le qualità di trascinatore. Ottima comunque la sua prova, e da premiare l’ambizione dimostrata in particolare nel finale di “The Sad Game”: da urlo, nel senso stretto della parola. Da applausi anche la sezione ritmica firmata Ivan Moni Bidin-Fabio D’Amore. I cambi di tempo sono fluidi e frequenti, l’esecuzione dinamica e aggressiva: non è da tutti saper coniugare in modo tanto efficace tecnica e potenza. Tecnica e potenza che sono in toto condivise anche dalle sei corde di Luca Luison, protagonista dal primo all’ultimo minuto del demo. La sua sensibilità in fase di assolo si rivela anche nella ballad “Sorrow Never Dies”, in cui torna alla ribalta anche il singer Sandron in un refrain di grande impatto. Più complesso il discorso delle tastiere: il compito di Gianpaolo Rinaldi è tutt’altro che semplice, giacché spesso le strutture in cui si trova a inserirsi sembrano relegarlo in un ruolo da comprimario. Ciononostante proprio qui si rivela la sua abilità: evitando di introdursi forzatamente nei contesti più heavy-oriented che tenderebbero a escluderlo, egli si ritaglia con cura i propri spazi, allestendo un contorno sinfonico che accompagna in modo efficace il resto della strumentazione: è quel che accade sulla conclusiva “The Sad Game” e, soprattutto, sull’opener “Faded Crystals”.
Proprio in virtù del loro stile più diretto e potente della maggior parte delle prog metal band odierne, le composizioni dei Pathosray potrebbero trarre giovamento dal ridimensionamento della loro durata: “Lines to Follow” in particolare pare eccessivamente prolissa nelle sue parti centrali, e anche alla pur ottima “The Sad Game” gioverebbe lo snellimento di qualche passaggio. Anche in prospettiva futura sono fortemente auspicabili composizioni sotto questo aspetto più equilibrate. Il rischio per l’ascoltatore è infatti quello di perdere il filo del discorso nei passaggi più articolati: un difetto che rischia di pesare soprattutto nella dimensione live, che parrebbe invece essere il punto forte della band.
Ciò considerato, non si può comunque non riconoscere la classe e la grinta di questa band. Con la speranza di poterne saggiare presto le qualità dal vivo, non resta che rimanere in attesa del prossimo prodotto dei Pathosray: con la consapevolezza che il traguardo del primo full-length pare del tutto alla loro portata.
Tracklist:
1. Faded Crystals (8:34)
2. Lines To Follow (6:53)
3. Sorrow Never Dies (5:25)
4. The Sad Games (8:58)