Recensione: Deathspell Catharsis
Nella loro inarrestabile corsa a rimpinguare il più possibile la propria discografia, i Lay Down Rotten lasciano la Metal Blade Records per l’Apostasy Records e, con essa, danno alle stampe il settimo full-length, “Deathspell Catharsis”, di una serie che pare davvero non avere mai fine.
A parte questa novità legata alla label, il resto è sostanzialmente immutato. Dalla line-up all’artwork non ci sono differenze, rispetto a “Mask Of Malice” del 2012. E non ci sono grandi differenze neppure nello stile musicale. Il death decisamente moderno suonato da Daniel “Kensington” Seifert & soci è una garanzia di qualità, consistenza e inossidabilità ma, alla fin fine, non ha mai lasciato particolarmente il segno nella storia del sottogenere di cui trattasi e, tantomeno, in quella del metal. Una caratteristica di ‘normalità’ che è nata con la band, e che – in fondo – l’ha accompagnata lungo una carriera cominciata ormai quattordici anni fa.
Se da un lato, quindi, i Lay Down Rotten possono essere presi ad esempio come integerrima attitudine alla brutalità e fedeltà assoluta alla linea, dall’altro la loro non particolare originalità ne mina alle fondamenta l’ascesa verso le attuali vette della tipologia musicale dove, per intendersi, si trovano ensemble come Behemoth, Fear Factory, Heaven Shall Burn, giusto per fare tre nomi (non) a caso.
Ora, puntando l’attenzione su brani violentissimi come “Blasphemous Rituals For The Perverted Flesh”, riesce certamente difficile trovare di meglio in giro in quanto a perizia d’esecuzione, perfezione nella ricerca e resa dei dettagli, potenza e pulizia della produzione. Le chitarre non danno luogo ad alcuna sbavatura, nella costruzione del loro monumentale, immenso muro di suono; il drumming non perde nemmeno un centesimo di secondo, nel tragitto che corre lungo i terrificanti blast-beats. Così come il basso non smette mai di bombardare i timpani con la sua cronometrica andatura, con Jost Kleinert, del resto, che si afferma ancora una volta come un vocalist nella cui opera è impossibile trovare dei nei, all’interno del suo spaventoso growling alimentato da due veri e propri polmoni d’acciaio.
L’incipit dell’opener “Cassandras Haunting”, tuttavia, lascia intravedere un timido tentativo di discostarsi da un cliché ‘troppo’ consolidato. L’ambient mischiato all’acustico offre, infatti, uno spiraglio a un’interpretazione meno glaciale e quindi più profonda, quasi visionaria, dello stile dei Nostri. Certo, poi i blast-beats sconquassano tutto, ma il mood cupo e drammatico che si percepisce chiaramente all’inizio non abbandona più la song. Anche la title-track “Deathspell Catharsis” pare seguire la medesima l’indole, ma “Schaedelberg”, poi, pare rimettere le cose a posto e pertanto riemerge quella tendenza all’anonimato più sopra richiamata.
La quale altro non è che il vero tallone d’Achille del combo teutonico. Pure la morbida “Release Into Nothingness”, dimostrativa peraltro di una potenzialità armonica ancora inespressa da parte dei Lay Down Rotten, inganna l’orecchio, poiché “Zombiefied Electrified” ci mette poco, con il suo stra-abusato mid-tempo a doppia cassa, a immergere di nuovo nell’ordinario “Deathspell Catharsis”.
Per tutto ciò, la conclusione logica è che quest’ultima creatura in casa Lay Down Rottenn sia gradita, con ogni probabilità, solo ai fan più sfegatati. La bravura, la professionalità, la dedizione al lavoro, a volte, non bastano per forare la membrana dello spazio e del tempo. Ci vuole qualcosa in più. Qualcosa che, sin dai tempi di “Paralyzed By Fear” (2003) non pare essere nelle corde della pur bravissima formazione tedesca.
Daniele “dani66” D’Adamo
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