Recensione: Deathstalker
Risulta sempre interessante incappare in nuove realtà che si pongono con lo sguardo decisamente all’indietro. Ne va della sopravvivenza di un intero genere legato alle sonorità classiche che, un giorno non poi così lontano, dovrà necessariamente fare i conti con l’anagrafe. Perché nel momento in cui, fisiologicamente, i vari Judas Priest, Saxon, Manowar, Accept ed Helloween – solo per citarne cinque – appenderanno gli strumenti al chiodo, peraltro meritatamente, dopo una vita passata a fare la guerra dei watt in tutto il mondo, sorgerà la necessità di raccoglierne il testimone.
L’heavy metal non morirà mai ma dovrà trovare altri eroi in grado di mantenerne viva la fiamma. Fortunatamente là fuori scalpita un esercito di forze fresche tale da poter garantire sonni tranquilli a tutti i defender del globo. Gruppi mediamente con le carte in regola per poter spiccare il salto definitivo, cosa sinora non ancora accaduta – quantomeno nella sua pienezza – anche perché ostacolata della presenza ingombrantissima dei vecchi leoni di cui sopra, che al momento non ne vogliono minimamente sapere di mollare il cadreghino.
I canadesi Tower Hill sono solo gli ultimi di una lunga serie di aspiranti al trono. Nati per volontà del cantante Andrew “R.F.” Traynor nel 2020 a livello di progetto solista, prendono effettivamente corpo e forma l’anno successivo, sulla spinta degli Osanna ricevuti per il demo Fighting Spirits. Deathstalker, oggetto della recensione, costituisce il loro debutto ufficiale sotto forma di full length e vede la luce grazie ai servigi dell’etichetta ellenica No Remorse Records. Ad accompagnarlo un libretto di sedici pagine con tutti i testi, una foto dei cinque componenti i Tower Hill nelle due centrali – con i due musicisti agli estremi dello scatto armati di spade scintillanti, da definire quanto “vere” piuttosto che sopraggiunte a livello grafico – e le ultime dedicate alle note tecniche di rito.
In copertina una tavola realizzata nientepopodimeno che da Andreas Marschall, già all’opera in passato con Sodom, Running Wild, Blind Guardian, Hammerfall, Kreator. A rafforzare il carico tradizionalista, ci pensano poi le dichiarazioni del leader Traynor, agghindato con la t-shirt di Pokoli Színjáték dei Pokolgép che non si nasconde dietro a un dito urlando al cielo la sua totale devozione per band quali Riot, Omen, Helloween, Running Wild, Blind Guardian, Manowar.
Paiono quindi esserci, per i crazy canucks, tutti quanti gli ingredienti necessari per fare breccia fra i cuori dei die hard fan del genere più ortodosso dell’HM.
A partire dalla title track posta in apertura sino all’ultima “Port of Saints” – dedicata al grandissimo Michael “Majk Moti” Kupper, scomparso il 16 febbraio di quest’anno – i Tower Hill confermano le aspettative in termini di influenze riguardo le loro composizioni. La band si dimostra solida nell’esecuzione: Chris Nunz e Jeremy Puffer alle asce, Cam Dakus al basso e Mitch Stykalo alla batteria ma la stessa cosa non si può dire per Andrew “R.F.” Traynor, un onesto mestierante dietro al microfono, sebbene carico di attitudine e credo. Il risultato si risolve quindi in un disco che potrebbe decollare ma non lo fa mai, seppur ben suonato, per palese mancanza di ispirazione e personalità nel songwriting. Semplicemente manca quella magia in grado di elevare il prodotto, anche se palesemente derivativo.
Deathstalker ha gettato il seme, sta ora ai Tower Hill saper crescere quanto serve per poter affrontare quel salto di qualità necessario che ancora manca all’interno della loro proposta.
Stefano “Steven Rich” Ricetti