Recensione: Decadence

Di Daniele D'Adamo - 17 Febbraio 2012 - 0:00
Decadence
Band: Nothnegål
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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71

L’incredibile attitudine del death metal di mutare, evolversi, contaminarsi e trasformarsi trova, stavolta, fertile terreno in una nazione che mai si direbbe pronta ad accogliere il metal estremo: le Maldive.

Nella meta delle vacanze da sogno per antonomasia agiscono dal 2006 i Nothnegål, i quali hanno già all’attivo un EP (“Antidote Of Realism”, 2009) e che, con questo primo lavoro di lunga durata, “Decadence”, provano a farsi sentire in tutto il Mondo con l’aiuto dell’intraprendente etichetta francese Season Of Mist.

Quasi da non credersi, per approfondire il discorso, lo stile praticato dagli asiatici e cioè un death metal melodico assai ricco di armonizzazioni alle tastiere, altrettanto abbondante di un umore spostato con decisione in direzione degli stati più profondi e intimi dell’anima. Certo, lo zampino di due formidabili musicisti come il finlandese Marco Sneck (Poisonblack, ex-Kalmah, ex-Afterworld) alle keyboards e il batterista statunitense Kevin Talley (Dååth, Six Feet Under, ex-Decrepit Birth, ex-Dying Fetus, ex-Misery Index) è evidente, soprattutto per quanto riguarda l’apporto artistico del primo. Tuttavia è l’insieme che bisogna osservare, e i Nothnegål – in antitesi all’aspetto del loro ambiente natìo – offrono per ciò una proposta avvolta da una cupa cappa di grigia malinconia, foriera di un’emozione perennemente rivolta verso una dolce e sinuosa tristezza.     

Sebbene la ricerca di soluzioni orecchiabili sia una costante, in “Decadence”, l’album si discosta parecchio dalla corrente nordeuropea dello swedish death metal. Il suono possente, pieno e carnoso dell’album raramente si mostra aggressivo mentre il ritmo privilegia un approccio centrato sul groove complessivo invece che sulla velocità. Fufu alterna a un miscuglio growl/scream linee vocali più pulite, cercando sempre e comunque di non discostarsi mai da un’interpretazione sofferta e drammatica che s’incastra alla perfezione fra le maglie delle particolari partiture di Sneck. L’effetto di questa combinazione non è trascurabile e anzi dà luogo a un sound originale anche se non innovativo, riconoscibile al primo colpo. Non male per una band alla prima prova di rilievo. Lo stesso Fufu e quindi Hilarl, come chitarristi, formano assieme al basso di Hamad un sub-insieme dalle caratteristiche più classiche, a volte forse ordinarie, non mancando – soprattutto le due sei corde – di sprizzare energia da tutti i pori nella definizione di un imponente quanto massiccio muro di suono. La sinergia fra i tre strumentisti autoctoni e gli altri due, però, sembra proprio efficace in tutto e per tutto: il Nothnegål-sound è davvero azzeccato osservandolo anzi ascoltandolo da ogni angolazione. Vigore, rudezza, profondità, professionalità, melodiosità e raffinatezza sono aggettivi che si possono elencare con cognizione di causa, insomma.
 
Si rivela un po’ meno buono, invece, il songwriting. Il difetto maggiore del CD è insito in una certa difficoltà, da parte dei Nostri, a mantenere costante uno standard compositivo che oscilla difatti un po’ troppo fra brani assai riusciti ed episodi piuttosto anonimi. È bene chiarire che anche durante i momenti meno coinvolgenti il platter supera la sufficienza, tuttavia la discontinuità sopra menzionata rende più difficile del dovuto l’assimilazione delle tracce, lasciando ogni volta un impalpabile quanto visibile senso d’incompiutezza. Per comprendere questo concetto al volo basta concentrarsi innanzitutto su “Claymore”, che concretizza la summa di tutti i discorsi fatti in precedenza. Le stupende armonizzazioni di Sneck sono come fiori multicolori gettati su un prato rigoglioso e verde, che metaforicamente rappresenta la solidità e la compattezza sonora di Fufu e gli altri tre. Con il suggello di un ritornello delicato ma ficcante, destinato a centrare i neuroni più nascosti e lontani del cervello di chi ascolta assieme a un tagliente solo di chitarra dall’impostazione piacevolmente tradizionale. Una volta assorbita questa canzone, basta passare allora alla lunga, cibernetica ma scontata “R.A.D.A.R. per provare un po’ di amaro in bocca…  

“Decadence” è un’occasione persa, per i Nothnegål, di sfondare alla grande. Essere riusciti a focalizzare un proprio stile dalla spiccata personalità, operazione encomiabile e mai facile, non è bastato: l’altalenarsi dell’inventiva fondante i vari brani provoca un’antipatica sensazione di confusione che, di fatto, vanifica il grande valore artistico di alcuni capitoli innegabilmente attraenti.    
 
Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Salvation 4:10     
2. Claymore 5:16     
3. Janus 4:24     
4. Decadence 5:33     
5. Armageddon 4:59     
6. R.A.D.A.R. 7:07     
7. Sins Of Our Creations 4:40     
8. Singularity 4:33     

Durata 42 min.

Formazione:
Fufu – Chitarra e voce
Hilarl – Chitarra
Hamad – Basso
Marco Sneck – Tastiere
Kevin Talley – Batteria
 

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