Recensione: Decadent Perversity

Di Daniele D'Adamo - 15 Luglio 2022 - 0:00
Decadent Perversity
76

DeathFuckingCunt, un nome che richiama alla mente goliardia, un macabro senso dell’humor e l’idea di un qualcosa di poco serio.

I DeathFuckingCunt, band proveniente dall’Australia, non sono nulla di tutto ciò. Anzi, al contrario, con il secondo full-length in carriera, “Decadent Perversity”, dimostrano di prendere maledettamente sul serio la musica, in questo caso brutal death metal.

Musica, poiché le tematiche, ahimè, sono sempre le solite. Incentrate, cioè, sulle più turpi schifezze derivabili da un trattato di medicina forense. Tutto sommato non si tratta di un’eresia, giacché è il proprio il genere che, spesso e volentieri, si tuffa nel mare delle più malsane fantasie che si focalizzano in atti i più biechi possibili. Sono davvero tanti gli interpreti di questo filone testuale, soprattutto negli USA, che evidentemente hanno molta dimestichezza con l’anatomia umana. Sempre con un pizzico di autoironia, però. Del resto, come si farebbe a prendere sul serio un titolo come ‘Fisted into Form’, per esempio?

Tornando all’aspetto meramente musicale, il combo di Perth sciorina il proprio stile assestando in alto il valore delle proprie composizioni. La tecnica è ai massimi livelli esecutivi, resa facilmente visibile grazie a una produzione pressoché perfetta. La specializzazione della Transcending Obscurity Records nel campo del metal estremo, lato death, infatti, ha raggiunto una notevole esperienza e professionalità che, messe a servizio del proprio roster, regala agli appassionati prodotti di primissima qualità.

In sostanza, l’ideale per consentire ai DeathFuckingCunt di spingere al massimo sull’acceleratore senza che si perdano pezzi per strada, in primis la potenza. Potenza devastante, annichilente, distruttiva, chirurgica. Potenza che, giusto per restare nei soggetti dei testi, ha un taglio da sala operatoria, nel senso che viene erogata con massima precisione e linearità.

Meno lineare lo stile elaborato dai Nostri. Non molto originale, questo occorre evidenziarlo, ma accidentato come non mai. Accelerazioni, improvvisi rallentamenti, fulminei cambi di tempo, divagazioni soliste complicate e affilate come un bisturi, appunto. Blake Simpson interpreta le linee vocali con un growling riprodotto a pieni polmoni con il diaframma impegnato a comprimere quanto più possibile l’aria nell’apparato respiratorio. Growling alternato, ma non sempre, dal più classico degli inhale. Niente di nuovo sotto il sole, insomma, anche se anche in questo caso si rasenta la perfezione. Scolastica, certo, ma davvero preziosa per agganciarsi al terrificante muro di suono innalzato dagli altro compagni di avventura.

A partire dall’axe-man Ollie Morgan, autore di un riffing sterminato per contenuti, varietà, difficoltà. Sia nella fase ritmica, sia in quella solista. Per poi giungere alla sezione propulsiva, terremotante, che spazia in un ampio range di BPM sino a superare la barriera della follia con micidiali, violentissimi blast-beats (‘Decadent Perversity’).

Il quartetto realizza con cura e dovizia di particolari anche le canzoni, cercando di variarle le une dalle altre, di connotarle ciascuna di una ben definita personalità. Ovviamente, seguendo i dettami di un marchio di fabbrica dai contorni disegnati con sicurezza, indicativo del modus operandi del quartetto stesso. Canzoni che lasciano intravedere un songwriting adulto, irreprensibilmente formato, capace di generare brani non sempre scontati anzi. Che scorrono via con fluidità, senza intoppi, senza cali di tensione né improvvisi filler giusto per arrivare alla fine. Un LP che è tutto fuorché un insieme di pensate compositive trite e ritrite. Il che rende merito alla voglia di esprimere concetti musicali che abbiano carattere e anima.

“Decadent Perversity” è un disco che merita di campeggiare nella libreria dei fan del brutal death metal per via della sua freschezza e singolarità. E i DeathFuckingCunt? Davvero bravi, a patto di non soffermarsi nemmeno un secondo sul significato del loro moniker per non fuorviare dai concetti di vera nonché seria espressione musicale.

Daniele “dani66” D’Adamo

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