Recensione: Decision Code
Se non sono capaci di comprenderci quando portiamo loro una felicità matematicamente infallibile, allora il nostro dovere è forzarli a essere felici – Yevgeniy Zamyatin.
Quarto full-length in carriera per i Conflict, “Decision Code”. Inutile girare troppo attorno alla questione, poiché di tratta di cyber death metal allo stato puro. Cioè, del figlio unico del matrimonio fra industrial e death metal, con una leggera propensione affettiva verso il primo genitore. Così come deciso da coloro che hanno dato il là a tutta la stirpe. Coloro che si chiamano Fear Factory e che hanno dato il via al tutto con l’irripetibile “Demanufacture”, A.D. 1995. Fear Factory che non solo si avvicinano a questo LP per via dello stile, ma ne fanno parte grazie alla presenza, come ospite speciale, di Burton C. Bell nella song ‘The Architect‘.
Il combo russo è nato nel 2002 e si sente. Diciotto anni di vita non sono pochi così, in tutto e per tutto, essi mostrano la faccia di una totale dedizione al lavoro. Intesa come corretto inquadramento del sound, ottima messa a punto della foggia musicale, precisione di esecuzione e grande emotività intesa, questa, come la componente primaria atta a generare le intense visioni di una Terra spostata in avanti sino al 2048.
Molto penetrante l’innesto ambient, elemento necessario per sviluppare al meglio uno stile all’apparenza non-umano, anzi elaborato e portato agli altoparlanti da macchine. Così come le ariose tastiere e l’electronic music che, pur facendo parte dell’industrial, si accoppiano alla perfezione con un sound potentissimo, massiccio, robotico, molto pulito, molto preciso. Come quello di un organismo cibernetico, appunto. La cui voce è quella angelica di Anna ‘Hel’ Milyanenko anche se, in realtà, a parte quelle degli ospiti, ce n’è anche una maschile, che le note biografiche non chiariscono di chi sia, che porta avanti l’intero meccanismo con un growling secco e aspro, poco a fianco delle harsh vocals. L’impressionate precisione dei riff di Rodion Skityayev non deve sorprendere, giacché si tratta della peculiarità principale del cyber death metal, così come insegnato da Dino Cazares. Allo stesso modo il drumming matematico di Mikhail Conflictov, erede di quello di Raymond Herrera. Un po’ anonimo il basso maneggiato da Aleksey Kurpyakov, impegnato a coprire i buchi della batteria e poco più. A scanso di equivoci, è cosa buona e giusta osservare che la band di Mosca non è una scopiazzatura di altri quanto, invece, una creatura che risponde al 100% ai dettami fondamentali del (sotto)genere. Una creatura unica, a sé stante, dotata di una propria, decisa personalità.
Oltre a essere ineccepibili per ciò che concerne la tecnica, i Conflict sono infatti capaci di scrivere canzoni di gran livello compositivo. Canzoni che variano parecchio fra di loro ma che seguono tutte lo stesso filo conduttore. Sintomo di maturità, di esperienza e, ultimo ma non ultimo, di una profonda conoscenza del tipo di musica che si realizza. Non ci sono cali di tensione, in “Decision Code”. L’insieme è compatto attorno a un nucleo cui ruotano attorno i vari pezzi. Comprendenti, oltre alle classiche mazzate sui denti (‘Art of Resistance’), anche pregevoli strumentali, ideali colonne sonore di film di fantascienza (‘Megapolis’, ‘New Industrial Order’); oppure clamorose aperture melodiche come nella title-track, in ‘D-Evolution’, in ‘Speechless’ e in ‘Deadlock’. Armonie intense, concepite per infilarsi decise fra la meninge e la parte interna delle ossa craniche, sì da girare lì dentro per parecchio tempo. ‘The Architect’, ed è leggenda, si alzano i peli dalla pelle: tocca a Burton C. Bell e al suo inconfondibile timbro vocale. Basta soltanto la sua presenza, il suo feeling, che il brano vola via nel futuro. Per chiudere il cerchio l’opener-track, ‘2048’: ottima per il suo incedere cronometrico e per l’essere accattivante in maniera naturale, senza forzature.
Se il buongiorno si vede dal mattino… allora “Decision Code” non può che mancare nella lista di ogni appassionato di metal estremo dai contenuti testuali distopici. Bravi, bravi davvero, i Conflict. Al momento solo distribuiti professionalmente, ma assolutamente meritevoli di un degno contratto discografico.
Daniele “dani66” D’Adamo