Recensione: Declaration
Quando si parla di album senza capo né coda bisogna assolutamente citare Declaration degli Arctic Flame. Già, quello che mi accingo a recensire è un album bruttino, monotono: scarso, insomma. Nonostante siano arrivati alla seconda release di un full-length e nonostante abbiano avuto la grandissima fortuna (perché se le premesse sono queste allora i meriti non ci sono) di essere messi sotto contratto dalla Pure Steel Records la band ci ha dato dimostrazione che quando qualcosa la si fa per hobby, senza metterci il sudore della fronte, allora i risultati sono pessimi. Ma facciamo una piccola digressione sulla storia del gruppo: gli Arctic Flame si sono formati quando il chitarrista Rod Mariani rispose ad un annuncio messo dal batterista Mike Paradine. L’intenzione (leggete bene, intenzione) era quella di creare un gruppo con influenze di Iron Maiden e Judas Priest. Trovati gli altri membri e fatta la band, rilasciarono prima un demo (4 Song Demo) e in seguito un EP (5 Song EP, che fantasia che mettono nei nomi, i ragazzi). Notati, appunto, dalla Pure Steel rilasciarono Primeval Aggressor, che tradiva una band ancora troppo giovane e immatura per poter fare musica a modo. La situazione, ahimè, non è cambiata.
Le idee di questo album sono poche, vaghe e correlate tra loro in modo scorretto. Molte canzoni sono monotone o semplicemente scarne: se sto ascoltando ad esempio una Blind Leads The Blids e per caso vedo una mosca che gira in tondo vicino al lampadario, l’attenzione si sposta immediatamente su di essa. Molto più interessante, direi. Ora, non voglio bocciare questi ragazzi in toto, e nemmeno stroncarli in tronco: qualche aspetto positivo c’è, come ad esempio il sound vagamente Old School, che però viene oscurato da una produzione non proprio all’altezza; The Unknown God è una traccia dal ritmo bello sostenuto, che sarebbe potuta diventare un buon singolo, ma la batteria, che suona sempre allo stesso modo senza mai modificarsi, le linee vocali troppo poco chiare e parecchio dispersive e gli assoli quasi suonati a caso fanno di questa una traccia completamente inutile. Bellini alcuni cambi di velocità, che però non hanno molto da dire se si conta che i riff sono ormai triti e ritriti, non solo all’interno della stessa canzone ma del Power in generale. In fondo appena si trova un aspetto positivo ce n’è uno che subito lo oscura. L’unica canzone che si salva almeno in parte è Hammer Down, forse la più ispirata di tutte (oddio, “ispirata” è una parola grossa!) che riesce grazie ad alcuni riff ben impostati a mantenere in modo abbastanza costante l’attenzione dell’ascoltatore. Per il resto, tabula rasa!
Il sottoscritto recensore ha cercato di salvare il salvabile… Possiamo cercare di giustificarli forse per la poca esperienza, ma sinceramente band molto meno esperte (anche tecnicamente) di loro hanno fatto lavori di gran lunga migliori. A cospetto quindi di una totale mancanza di idee e probabilmente di serietà mi vedo costretto a bocciare, senza sinceramente una briciola di rammarico, una band che è forse partecipe della decadenza del buon Power e del buon Heavy. A casa ragazzi!
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Tracklist:
01 The Unknown God
02 Blinds Leads The Blind
03 Lords Of The Wasteland
04 Hammer Down * MySpace *
05 Disciples Of The Flame
06 Desert Moon
07 Declaration
08 Shadow Of A Broken Man