Recensione: Decoding the Soul
Magnifici, gli statunitensi Magnitude Nine (o Magnitude 9 nda) sono una delle migliori formazioni progressive della storia del metal americano, il loro terzo “Decoding the soul” è un disco bellissimo, un grande lavoro di composizione e classe che dimostra in pieno il talento e le qualità tecniche di questa band.
Da sempre la tradizione americana ci ha insegnato quanto sia difficile e raro riuscire a suonare metal progressivo e personale senza perdere il senso delle melodie e senza diventare prolissi e inconcludenti. In questo senso hanno fatto scuola band storiche come i Queensryche, i Riot, i Crimson Glory e gli immensi Fates Warning. Proprio questi ultimi hanno firmato capolavori inestimabili del genere in considerazione come “The awakening of the guardian”, “No exit”, “Parallels” per poi evolversi verso un sound maggiormente sperimentale e personale, producendo lavori come “A pleasant shade of grey” e abbandonando in parte le sonorità del passato. Il trono abbandonato di Fates Warning negli ultimi dieci anni è stato ereditato con pieno merito dai Magnitude Nine che ormai vanno considerati allo stesso livello dei loro maestri storici. Personalmente rimasi sconcertato nel 1998 (avevo diciassette anni) quando misi le mani sul primo lavoro dei Magnitude Nine “Chaos to control”, un lavoro eclettico e personale che ancora oggi riserva sorprese a chi ama sonorità potenti e ricercate. Il vero capolavoro dei Magnitude Nine però si rivelò il secondo “Reality in focus” che possedeva tutte le caratteristiche, ormai maturate, della band statunitense. Parlo di chitarre oscure e dinamiche, linee vocali splendide, dotate di un grande impatto, strutture ritmiche articolate ma snelle ed efficaci che non tendono mai a diventare troppo elaborate lasciando all’ascoltatore l’interpretazione dei brani secondo il suo gusto.
Ora mi trovo a recensire il nuovo “Decoding the soul” e devo constatare che i Magnitude Nine abbiano portato il loro sound a livelli stellari, le chitarre sono perfette, potentissime e oscure, capaci di tracciare percorsi ritmici di impatto e spessore. Le parti vocali di Corey Brown (attivo anche negli Psycho Drama) sono veramente delle perle di tecnica e interpretazione, sarà la mia attitudine nei confronti della sua voce, sarà la sua timbrica elegante e precisa, ma considero questo ragazzo tra i migliori vocalist della nuova generazione americana, insieme con John West, Russell Allen, Zac Stevens. La sezione ritmica del gruppo enfatizza la fluidità dei brani mantenendo la potenza e l’enrgia proprie di una metal band, sotto il profilo compositivo i Magnitude Nine continuano a prediligere, con intelligenza, composizioni relativamente brevi e raffinate dove le capacità del gruppo emergono senza distogliere l’attenzione dalle melodie portanti dei brani. Il disco si apre in maniera magistrale con “New dimension”, una canzone oscura e avvolgente che si affida a un riffing ritmico cadenzato ed elegante su cui poi sono disegnate le melodie vocali, l’ispirazione del gruppo è pienamente apprezzabile fin da questo primo brano. La seconda “Lies within the truth” conferma in pieno la direzione intrapresa dalla precedente, ancora una sezione ritmica oscura e precisa si pone alla base di strutture melodiche eleganti che risaltano grazie a una interpretazione vocale da manuale, ottimi. Con “Facing the unknown” i Magnitude Nine compongono una nuova “What my eyes have seen”, una canzone memorabile per le sue linee vocali e il refrain irresistibile del ritornello, è sempre Corey Brown il dominatore delle melodie vocali e la sua timbrica ne aumenta la portata artistica. Ugualmente ispirata e compatta “To find a reason” mostra la band americana alle prese con strutture veramente vicine al sound dei Fates Warning di “Night on broken” e il risultato appare pienamente apprezzabile fin dai primi passaggi. Maggiormente elaborata “Walk through the fire” espone le caratteristiche più ambiziose della musica dei Magnitude Nine senza però perdere di vista la regia melodica e garantendo in pieno il tiro del pezzo. Nuovamente oscuri e compatti i nostri sfornano “Dead in their tracks” una nuova prova di potenza e ispirazione, in questo caso le chitarre ritmiche sono al centro del souno della band costruendo un muro sonoro preciso e vibrante. La successiva “Changes” non modifica la direzione ritmica della band statunitense ma nel ritornello lascia decollare un refrain vocale da brividi, ancora una lezione compositiva da parte dei nostri. Con “Torn” i Magnitude Nine ripercorrono i canoni dei Queensryche di “Rage for order” rielaborandoli secondo la loro creatività, il gruppo dimostra di possedere personalità e stile da vendere. Più cadenzata e oscura “Thirty days of night” possiede un ritornello di grande impatto basato su refrain vocali molto riusciti affiancati dalla solita ottima sezione ritmca. Con “Sands of time” il disco si conclude ma la band americana non abbassa la portata artistica della sua proposta dimostrandosi ancora molto matura e personale.
Esprimere un giudizio numerico rispetto a un disco di questa caratura è fondamentalmente riduttivo, il voto si può applicare a ciò che effettivamente è valutabile ma non all’arte in genere e credo che in questo caso siamo di fronte a una vera opera d’arte. Leggete le mie parole che rappresentano meglio e più fedelmente il giudizio sul disco. Riguardo a quello che scrivo è sempre valido questo paradigma.
1 New dimension
2 Lies within the truth
3 Facing the unknown
4 To find a reason
5 Walk through the fire
6 Dead in their tracks
7 Changes
8 Torn
9 Thirty days of night
10 Sands of time