Recensione: Deep

Di Mattia Di Lorenzo - 8 Marzo 2007 - 0:00
Deep
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Anno: 2006
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80

Anno 2006. Seconda fatica per gli Eyes of Shiva, dopo il buon precedente Eyes of Soul. Come loro stessi affermano nel sito ufficiale, qualcosa è cambiato. Suono più aggressivo, unito a melodie “catchy”, dicono loro. E non si può non essere d’accordo. Le caratteristiche che rendono questo album immediatamente riconoscibile, e che lo discostano in maniera sostanziale dall’archetipo “Angra-Shaaman” di cui erano troppo debitori nel debutto, sono due: le chitarre ritmiche estremamente presenti e pesanti, indipendentemente dalla melodia, che può essere più o meno ariosa; il sound “etnico” della batteria di Ricardo Longhi, che in certi tratti suona dannatamente sudamericano (questa cosa può stupire, soprattutto se presentata come novità rispetto agli Angra, ma gli Angra dell’ultimo periodo sono passati a sonorità molto diverse, e per ritrovare questo tipo di suono, bisogna risalire forse fino a Holy Land…). Tutto ciò calato in un album di indiscutibile valore, sebbene le cose migliori si concentrino in 4-5 canzoni. Ottima e decisamente all’altezza la produzione, che permette di apprezzare per intero quanto di buono fatto dalla giovane band.

I testi spaziano attraverso temi vari, di attualità e problemi sociali. Spiace dire, pur apprezzando l’impegno per la scelta degli argomenti, che il modo in cui sono affrontati è abbastanza superficiale. Valga per tutti l’esempio del refrain della canzone sulla non violenza, che in italiano suonerebbe come: “Oh, ma come è difficile amare qualcuno che odi!”. Comunque, sebbene non si possa definire gli Eyes of Shiva una band Happy Metal, non si può certo aspettarsi nemmeno l’introspezione esagerata e al limite della psichiatria di certe composizioni Gothic o Progressive! La melodia, a tratti esasperata, e l’atmosfera generale di allegra, desiderano un ascolto molto, molto rilassato. Ma tralasciamo queste questioni, e diamo un’occhiata alle tracce.

Blowing off head: eliminata la solita intro, che troppi gruppi power oggi propongono, la prima canzone è la più heavy di tutto il lotto. L’ottima voce di André Ferrari, che vagava nello scorso album su tonalità altissime e imprendibili, qui si cala tra i comuni mortali, affidandosi spesso all’aiuto di numerosi effetti mixer. Si propone qui una caratteristica poi ripresentata, ossia l’opposizione di strofe molto pesanti e “cattive”, a ritornelli melodici e facili. Si nota, rispetto al primo album, una particolare carenza di suoni di tastiera, che comunque non è un vero e proprio limite, rendendo più personale il tutto. Il solo di chitarra è molto pulito e tecnicamente preciso, anche se non si può fare a meno di notare l’abisso che intercorre tra i due ragazzi degli Eyes of Shiva e i maestri connazionali Loureiro e Bittencourt. Decisamente meglio cambiare stile, il confronto non avrebbe proprio retto. Come inizio, comunque, niente male!
Kamisama: questo è il vero capolavoro dell’album, canzone hit che meriterebbe una menzione in qualsiasi disco, e può essere un ottimo biglietto da visita per la band nel mondo. La struttura è simile a quella della canzone precedente, ma il songwriting qui è particolarmente efficace. Il tocco in più, inutile dirlo, lo dà l’apporto del “divino” André Matos, tanto nello spettacolare bridge, quanto nel ritornello a due con Ferrari. Eccezionale!
Profane Minds: ecco la prima cavalcata power dell’album. La velocità qui è molto più elevata che nelle due canzoni precedenti, ma i ragazzi riescono a mantenere una buona dose di originalità, senza cadere nello scontato e nel ripetitivo. In deep waters: la quasi title-track è una semi-ballad che si apre con semplici accordi di chitarra acustica, per proseguire in una scarna strofa che si getta in un ritornello semplice, ma a mio parere particolarmente riuscito. Anche questa non male!
Innocent souls, nonostante la presenza come guest musician di Hugo Mariutti, è il primo mezzo passo falso dell’album. L’introduzione ricorda subito la più quotata Kamisama, e la strofa accentua ulteriormente questa sensazione. Il bridge, pur essendo molto melodico e godibile, è stavolta davvero troppo Angra, e il refrain non ha molto da dire… Trascurabile. Con Bring me to death si torna su ritmi più veloci, ma l’impressione, sin dalla prima nota cantata da Ferrari, è di ascoltare una canzone di Temple of Shadows. La canzone tutto sommato è carina, ma in certi punti si potrebbe quasi ipotizzare un vero e proprio plagio.
Gli Eyes of Shiva si risollevano con la vera ballad del disco, Pain, contraddistinta dalla continua presenza degli archi. Si parte col violoncello, per poi proseguire con i violini, in una progressiva intensificazione del suono. Molto riuscito il solo di chitarra classica subito dopo il primo blocco strofa-ritornello. Un plauso particolare va qui al bassista Rodrigo Pinheiro, autore di un’ottima prova in tutte le tracce. Molte le sonorità toccate in questa canzone, che è tra le migliori presentate. Non-violence, eccezion fatta per qualche punto di cantato particolarmente intenso nelle strofe, non ha molto da dire, e secondo me è particolarmente penalizzata dalla banalità del testo, su un argomento abbastanza serio. Another side è un’altra velocissima canzone tipicamente power. Ma stavolta gli stereotipi sono rispettati in pieno, con un ritornello un po’ troppo mieloso e affettato, il classico innalzamento di tono finale, e l’acuto strappa-ugola nell’estrema chiusura. Non è che ci si annoi ascoltando queste canzoni meno riuscite, intendiamoci! L’album sarebbe lo stesso di buon livello, anche se formato solo da queste! Ma se facciamo un confronto con Kamisama o Profane Minds… beh… Siamo su livelli completamente diversi! Shadows of misery è l’outro più strana che mi sia mai capitato di sentire in un qualsiasi CD metal. Difficile dire che sia veramente bella: la considererei piuttosto inquietante… da ascoltare, sicuramente!

In conclusione, l’album è veramente di buon livello e la band sembra particolarmente affiatata e sicura di sè. Tanto sicura da riuscire, nell’80% dei casi, a svincolarsi dallo scomodissimo peso dei mostruosi connazionali Angra e Shaaman, proprio nel momento in cui ottengono qualcosa che è più di una sporadica collaborazione dai loro storici membri André Matos e Hugo Mariutti (viste anche le numerose interviste di Matos con la band, e la sua presenza nel video di Kamisama…). Avanti dunque Eyes, continuate così!

Tracklist:
1. Blowing Off Steam
2. Kamisama
3. Profane Minds
4. In Deep Water
5. Innocent Souls
6. Bring Me To Death
7. Leave Me Alone
8. Pain
9. Non-Violence
10. Another Side
11. Shadows of Misery

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