Recensione: Deeply From The Earth

Di Daniele D'Adamo - 30 Luglio 2013 - 17:13
Deeply From The Earth
Band: Moonloop
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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59

 

Fra le numerosissime contaminazioni che segnano la superficie del ‘Pianeta Death’, c’è quella disegnata dal progressive metal. Una contaminazione apparente difficile da verificarsi, poiché – per quanto riguarda immediatezza e veemenza – death e prog sono agli antipodi fra loro. E, in effetti, non sono poi moltissime le band che hanno deciso di seguire questa strada: a parte Opeth e Gojira, il resto non emerge granché da un profondo underground, almeno per ciò che concerne il grande pubblico.   

Accanto ai summenzionati mostri sacri del genere, tuttavia, si possono accostare gli spagnoli Moonloop, al momento genitori di un solo full-length, “Deeply From The Earth” (missato agli studi The Room da Gorka Dresbaj e masterizzato ai Mastering Room AB da Goran Finnberg), ma attivi con la medesima formazione da ben dodici anni. Durante i quali, comunque, quattro demo (“Things Can Change”, 2001; “Moonloop Singles 2003-2004”, 2004; “Release From Duality”, 2005; “True Nature Revealed”, 2007) e due singoli (“Deceiving Time / Release From Duality”, 2004; “Wailing Road / Butterfly”, 2004) sono stati dati alle stampe.     

Un accostamento che, però, bisogna chiarire subito, vale più per la forma che per la sostanza. Del resto, la band di Mikael Åkerfeldt è quasi un’anomalia evoluzionistica, nel panorama musicale estremo, per cui seguirne la strada non è facile per nessuno, tantomeno per i Nostri, ancora acerbi in materia di fabbricazione di album ufficiali. Malgrado ciò, Eric Baule e soci dimostrano una sicurezza nei propri mezzi e una professionalità assolutamente di primo piano, per cui “Deeply From The Earth” non dà certo l’idea di essere un’Opera Prima, tanto è lampante un sound perfettamente formato e rifinito in tutti i particolari. Senza esagerare con tecnicismi e virtuosismi fini a se stessi, i Moonloop propongono un modus operandi bastato fondamentalmente sull’incrocio o meglio la successione di momenti particolarmente duri e violenti, accompagnati dal growling rabbioso di Baule (“Legacy Of Fear”), a passaggi assai eterei, ipnotici, atmosferici; ricchi di pathos e di deliziosi arrangiamenti, soprattutto vocali (“Deceiving Time”). L’accostamento fra i due opposti è ben realizzato, poiché non si avvertono ‘scalini’ durante la successione degli eventi benché tale avvicendamento avvenga sempre all’interno di ciascuna song (“Wailing Road”) invece che fra una canzone e l’altra. Con ciò, riuscendo a mantenere la dovuta coerenza compositiva di uno stile teoricamente molto difficile da tenere assieme per via della menzionata poliedricità.

Appare assai più debole, invece, la manifestazione di un talento artistico che, in effetti, pare latitare. “Deeply From The Earth” dura un’ora, ed è composto di dieci brani che, uno per uno, potrebbero considerarsi delle minisuite (“Atlantis Rising”). Con ciò, rendendo lungo e difficoltoso il processo di apprendimento dell’intero lavoro. A parte un azzeccato break melodico in “Beginning Of The End”, il resto non mostra certamente dei lineamenti accattivanti. Questo potrebbe essere anche visto come un pregio ma, in realtà – almeno a parere di chi scrive – , è al contrario un indice della mancanza di quel famoso ‘quel qualcosa in più’ tale da far venire la voglia di passare più ore possibili in compagnia del disco. Insomma, la percezione che via via prende dei contorni sempre più marcati è simile a quella che si prova davanti a una pietanza assai fumante ma con poco arrosto. Proprio “Atlantis Rising”, giusto per fare un esempio, sembra un pezzo realizzato tanto per fare; cioè quale esecuzione di un compito scolasticamente perfetto, privo tuttavia di quell’emotività diretta, genuina, palpitante che, dal profondo dell’anima, giunge al cuore attraverso le orecchie.        

Pur riconoscendo ai catalani una dedizione puntuale e precisa alla causa, “Deeply From The Earth” non pare incarnare qualcosa che possa lasciare il segno. Troppo anonimo, rigido, impersonale. In una parola… piatto.  

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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