Recensione: Defiance
Come molti di noi, anch’io, quattordicenne, mi avvicinai all’heavy metal grazie ai grandi nomi: su tutti, Iron Maiden e Metallica. E come molti, anch’io mi ritrovavo a farmi una cultura metallica sulle riviste del tempo, dove tanto spesso i miei idoli menzionavano uno strano acronimo che stava a rappresentare una svolta musicale avvenuta nel grigiore del Regno Unito a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta. Si trattava della NWOBHM, a cui erano accostati ora band enormi, come Iron Maiden (appunto), Def Leppard e Saxon, ora gruppi leggendari che, per le più diverse ragioni, non erano riusciti ad andare oltre a uno status di culto localizzato tra i metallari: Angel Witch, Tygers of Pan Tang, Tank, Diamond Head, Samson, Venom. E, dopo averne ascoltato i dischi, le mie avide orecchie adolescenti ritrovavano in Kill’em All l’eredità di quei suoni e maturavano la stima per chi aveva contributo a porre le fondamenta del genere che iniziavo ad amare.
Tra un Lightning to the Nations e un On Through the Night, il mio spacciatore di dischi mi pose in mano una copertina dai colori tenui sui cui campeggiavano una mantide religiosa verde e un teschio circondato da un anello simile a quello di Marte. In alto a sinistra, un logo bellissimo mi faceva scoprire il nome dei Praying Mantis; poco sotto, il titolo dell’album: Time Tells No Lies.
Uscito nel 1981, Time Tells No Lies rappresenta uno dischi fondamentali della NWOBHM, purtroppo rimasto ineguagliato nel corso della carriera dei Praying Mantis, che si persero nel delirio degli anni Ottanta per rientrare a inizio anni Novanta, quando l’interesse per la loro proposta era ai minimi storici. Tuttavia, dopo la pubblicazione dell’EP Metalmorphosis nel 2011, in cui la band registrava cinque suoi pezzi storici, i britannici hanno vissuto una nuova primavera, a partire dall’uscita dell’ottimo Legacy (2015) e, quindi, dei validi Gravity (2018) e Katharsis (2022).
Ed eccoci nel 2024 ad ascoltare questo Defiance, ultima fatica dei Praying Mantis, a cinquant’anni (!) dalla fondazione del gruppo. L’ossatura della line-up resta la coppia dei fratelli Troy (rispettivamente, basso e chitarra), ben supportata da Hans in’t Zandt alla batteria, Andy Burgess all’altra chitarra e Jaycee Cuijpers alla voce, quest’ultimo autore di una eccellente prova, capace di accendere di dinamismo i brani di Defiance.
Se la NWOBHM non è mai stata un marchio di genere, essendo rappresentata da band che coprirono (e tutt’ora coprono) uno spettro stilistico amplissimo che spazia tra i Venom e i Def Leppard, i Praying Mantis sono certamente sempre stati vicini al lato più hard melodico e meno metallico di quell’ “ondata” che fu: un lato accentuatosi nel corso degli anni e coerentemente all’insegna di un gusto melodico raffinato che non smette di rallegrarci, pur suonando (volutamente) retro.
In vero, From The Start è piuttosto “moderna”: ha un bel ritornello e un tiro notevole; mentre Defiance (il singolo) è un pezzo molto melodico non eccessivamente incisivo. Feelin’ Lucky ha un andamento che ibridizza NWOBHM e suggestioni americaneggianti al limite dell’AOR. Segue la cover di I Surrender (dei Rainbow, per chi non lo sapesse…): il brano è talmente bello che è difficle farlo suonare male.
E arriva la bella ballad Forever In My Heart, che regala un momento arioso e meno banale di quanto possa sembrare. Segue Never Can Say Goodbye, forse il pezzo più tipicamente Praying Mantis d’antan nel lotto (e, anche per questo, il preferito del recensore).
One Heart parte con un giro di chitarra che sembra saltare fuori dai primissimi anni Ottanta e diventa un bel brano melodic rock, mentre Give It Up conferma la buona vena compositiva dei Praying Mantis, capaci di melodie semplici ma incisive.
Nightswim è un brano strumentale melanconico ricco d’ispirazione delle chitarre.
Standing Tall ha un bell’andamento in levare supportato da tastiere saltate fuori dagli anni Ottanta (ancora): il brano scarta un poco dalla canzone prototipica dei britannici, ma non per questo manca di essere piacevole. Infine, con Let’s See si torna nei lidi più tipici di una band che, comunque, resta legata alla NWOBHM: un gran bel pezzo per chiudere Defiance.
Certo, non sono più i tempi dei vent’anni e di Children of the Earth (una delle canzoni più belle di tutta la NWOBHM), ma Defiance riesce a dare continuità a questa seconda (o terza) giovinezza dei Praying Mantis. Ed è anche la nostra giovinezza, che, grazie alle band che ci sono state al fianco per tutta la vita, finge di non concludersi. Fino a quando ci ritroveremo ad ascoltare l’ennesima Let’s See, facendo istintivamente air guitar nell’inatteso caldo di una mattina d’aprile, vorrà dire che lo spirito non solo è ancora vivo, ma non smette di soffiarci nel cuore la passione. Ecco, Defiance è un po’ così: vivo e passionale.