Recensione: Defiling the Decayed
In mezzo a tanta pruderia progressista, evoluzionista, ecc., ecco una bella secchiata di carne putrida per soddisfare i palati dell’old school death metal. Carne che trabocca a iosa da “Defiling the Decayed”, terzo full-length in carriera dei Mausoleum.
La band nasce nel 2001, quindi è lecito aspettarsi un lavoro fatto e finito data, anche, la pregressa produzione discografica; piuttosto cospicua fra singoli, compilation, split, live album e, appunto, full-length. E così è, giacché “Defiling the Decayed” è un disco realizzato in maniera professionale, tematiche e relativo artwork compresi. Basti osservare la copertina, infatti, che si percepisce al volo la qualità della manifattura, incentrata, come i testi, sugli zombi. Tant’è che il genere musicale menzionato nelle note biografiche viene chiamato con un improbabile zombiecult death metal.
Il che, tuttavia, non si discosta di molto da quanto si ascolta. Il sound è volutamente semplice in ordine a una struttura che nasce secondo i progetti elaborati alla fine degli anni ottanta / inizio anni novanta. Struttura sulla quale sono stati caricate tonnellate di liquido putrefatto, maleodorante, frutto della disgregazione del corpo umano e, naturalmente, dei non-morti.
Un’osservazione importante, quella sopra, benché posa apparire del tutto banale, dato che, oggi, i gruppi a suonare con un siffatto stile non sono poi molti. Certo, la vecchia scuola tira sempre parecchio, anche fra i più giovani, ma riuscire a rendere così bene l’idea del putrido non sono poi tanti.
Adam Kegg e Craig Stiles, i due mastermind che si dimenano con chitarra e voce, con le loro asce da guerra realizzano un possente muro di suono ricoperto da pustole di pus e rivoli di sangue. Anch’esso dal sentore di viva putredine, ha un impatto frontale non indifferente, frutto dei un lavoro continuo al riffing, che non ha in sé buchi o soluzioni di continuità. Gli accordi, com’è giusto che sia, hanno qualche richiamo al thrash ma non più di tanto. La parte ritmica è come detto assai consistente, pesante. Massiccia nella messa a giorno di un suono grezzo, malato ma anche piacevole per via dell’approccio zombiesco alla questione. Ascoltando le tracce del disco si ha davvero l’impressione di essere protagonisti di un film horror rigorosamente di serie Z, nel quale sangue e budella volano in aria come polline a primavera.
Un risultato per niente facile da ottenere, visto che è stato realizzato senza alcun aiuto elettronico/ambient che abbiano creato la giusta atmosfera: a materializzarla, sono semplicemente due chitarre, tre voci, un basso, e una batteria. Batteria che, comunque, propone una quantità più che sufficiente di cambi di tempo, passando con disinvoltura dagli slow-tempo (“Catacombs of Eternal Dread“) alla triturazione dei blast-beats (“Clawing the Lid of the Coffin“, “Gravefucked“). Ancora, i pattern di Chris Demydenko mostrano spesso il famoso andamento mid-tempo trascinato del ritmo che solo l’old school death metal dà a vedere (“Beyond the Cemetery Gates“).
Proprio l’opener-track appena citata lascia intravedere una buona sezione solista delle sei (o sette) corde, con gli assoli che si rincorrono, scambiandosi il palco correndo a destra e poi a sinistra, offrendo una gradita rivisitazione dei primi Slayer, tanto per buttar lì un esempio. Slayer che, con i Nostri, è bene sottolinearlo, non hanno nulla a che vedere.
Malgrado i molteplici paragoni che si possono appiccicare ai Mausoleum (Dismember, Dissection, ecc.), essi vivono (si fa per dire) di luce propria, dando alle stampe un platter, “Defiling the Decayed” che, davvero, rimanda chi ascolta indietro nel tempo, quando il death metal si stava formando dall’impasto infuocato di thrash e black metal.
In ultimo le song. Abbastanza ben costruite, varie, mai uguali a se stesse, scorrono via che è un piacere. Obbedendo fedelmente alla foggia musicale scolpita nel legno di una tomba dai Mausoleum. Chiaramente “Defiling the Decayed” è un LP fatto e finito per i fan del macabro e dell’old scool death metal. Tuttavia, dare… un’orecchiata non fa male a nessuno.
Daniele “dani66” D’Adamo