Recensione: Defleshed To Build The Net
Gli italiani Underhate si infilano a spallate nella nutrita schiera di gruppi estremi della nostra penisola, cercando un poter avanzare a testa alta: il loro demo è sicuramente un buonissimo punto di partenza, ma ci sono ancora degli sforzi da fare. Innanzitutto bisogna elogiare il fatto che la band non si sia limitata a proporre un Brutal poggiante solo sulla pesantezza e sulle strutture sentite più volte; hanno invece inserito degli elementi che, sviluppati con maggiore attenzione, si potrebbero rivelare un’arma vincente.
In particolare faccio riferimento a quei momenti in cui il suono rallenta all’inverosimile, per raggiungere e superare i confini del Doom; echi di quello che furono i fantastici Therghotron emergono così nella parte centrale della introduttiva “Skulls”. Ancora meglio riescono a fare nell’inizio di “Net Human Totem”, dove, sebbene non si possa più parlare in senso stretto di Doom, l’inizio procede con un andamento rallentato che mette l’accento sulla pesantezza del suono; il tutto poi senza far venir meno le necessarie accelerazioni, dove la matrice americana del loro stile fa capolino.
Sempre rimanendo su “Net Human Totem” si notano alcuni fraseggi che purtroppo penalizzano il suono della band; riffing il cui inserimento sembra talvolta forzato e non integrato come nel resto dell’album. Queste piccole pecche, assieme ad una registrazione non sempre “felice”, rendono Defleshed To Build The Net un lavoro ancora incompleto. Il fatto che gli Underhate abbiano un così spiccato gusto nelle parti rallentate dovrebbe secondo me portarli a indirizzare anche il resto della propria musica in contesti simili; facendo quindi delle parti veloci non sfoggi di rabbia incontrollata, ma rendendole più uniformi rispetto allo spirito atmosferico che emerge appunto nel resto del demo.
Come supplemento troviamo anche due tracce live, nelle quali ad aprire c’è prima un estratto di uno dei tanti capolavori degli immensi Obituary, e poi Genital Grinder dei re del grindcore… Due particolari che evidenziano la passione e la fede verso le sonorità della vecchia scena, dimostrate peraltro in tutta il resto della loro musica.
La mia conclusione è che gli Underhate, prima che una questione strettamente compositiva, debbano affrontare una questione stilistica; in Defleshed To Build The Net emerge in più di un caso un’ottima espressione di un genere e di un modo di suonare magari non del tutto nuovi, ma anche fin troppo sottovalutati. Sarebbe un peccato confinare questa dote per dover portare avanti un discorso nel quale invece la band non sempre riesce al 100% delle proprie possibilità. Un gruppo da tenere d’occhio e da seguire molto, molto attentamente.
Matteo Bovio
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