Recensione: Defying Gravity
“Defying Gravity” è il disco di esordio dei metaller francesi Desdinova, una band autrice di una proposta a tratti particolare, ma nel complesso derivativa. Parliamo di un heavy metal tinto di thrash e con alcuni raffinati inserti dal retrogusto progressive.
Ricordate cosa fecero le thrash metal band a metà anni Novanta? Presero il thrash metal e lo riempirono di groove e di comparti tipici dell’heavy metal (se non, in molti casi, anche dell’hard rock). Questo per evitare di venir risucchiati dallo sciacquone impietoso che la scena grunge usava per far pulizia di tutto ciò che fino a quel momento aveva attratto l’attenzione dei media dediti alla musica rock in generale (nell’accezione più generale del termine). L’estremo subì gli impatti più devastanti. Si traformò per sopravvivere.
Perché questa premessa? Perché i Desdinova stanno cercando di fare lo stesso. Stanno ‘manipolando’ metal per dargli una forma nuova. Hanno in questo senso una certa attitudine progressive. In tanti ci hanno provato ed in tanti ci sono riusciti. Per sparare nomi a caso possiamo pensare ai Metallica, agli Annihilator o ai Nevermore, ma la lista sarebbe più lunga (non lunghissima!). Tutti nomi ‘esclusivi’ ed apprezzabili per personalità.
Ascoltando “Defying Gravity” si percepisce la ricerca della personalità fatta musica, ma lo si coglie da uno sforzo che ancora non è riuscito a scrollare dal groppone di questo songwriting tutte le marcate ‘ispirazioni’ che il quintetto ha portato nella propria proposta. Si sente l’eco dei Metallica periodo targato “Metallica” e delle varie tendenze thrash/rock messe in atto da molte band d’oltreoceano. Il tutto è tinto qua e là dal colorato sound stile Volbeat ed arricchito da accelerazioni che tanto riportano alla memoria le utile produzioni degli Annihilator.
Certo, come già accennato, Laurent Damelincourt e compagni piazzano spesso dei tratti altamente ‘groovosi’ e alcuni accorgimenti ritmici che possiamo definire raffinati, ma nel complesso sembra di ascoltare una sorta di ‘Black Album Part II’; o così almeno è come potrebbe suonare oggi il sequel del capolavoro dei Metallica del 1991. Menzione di merito invece per il chitarrista Stephane Hyde che con il suo apporto in termini di sezioni soliste alza notevolmente la qualità del prodotto.
Professionalità ce n’é comunque. Dobbiamo riconoscerlo. Basti pensare all’elegante digipack con ricco booklet e alla cura dell’artwork in generale. Anche la produzione messa in opera negli Studio Pangos da Marc Krauth (Ophidian Spell, Soul Winds, Bloody Pride) è all’altezza della situazione. In particolare, il missaggio propone volumi perfettamente calibrati che conferiscono al full-length in questione una compattezza notevole.
In definitiva possiamo affermare che “Defying Gravity” è un esordio di discreta fattura. Un disco che si ascolta con piacere e che non spacca i maroni come spesso accade a livello di produzioni underground in cui tutti ormai si possono cimentare anche da casa, modificando il risultato come meglio gli pare. Qui di potenziale ce n’è parecchio e di stile pure. L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di svincolarsi da certi cliché (vincenti) che rischiano di far stagnare la band in un mare troppo competitivo e che concede salvezza e gloria solo a chi ha davvero il coraggio di mettere in gioco le proprie abilità in un qualcosa di marcatamente personale.
Nicola Furlan
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