Recensione: Degenesis

Di Daniele D'Adamo - 5 Febbraio 2021 - 0:00
Degenesis
Band: Colossus
Etichetta: Comatose Music
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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69

Esso guarda dalla lontana, infinita oscurità. Dal freddo vuoto al di là della Stella Polare. La sua pazienza si è esaurita. L’esperimento umano è fallito, decadendo e deteriorandosi in una massa ribollente di rancore e infezione, in un veleno virulento e insensato. È l’ora: dalle oscure profondità dello Spazio profondo il Colosso, il divoratore di Mondi, il portatore della rinascita attraverso la distruzione totale, è qui.

Questo l’incipit dei Colossus al loro debut-album, “Degenesis”.

Statunitensi, essi profetizzano la fine dell’essere umano, corrotto dal Male sino al midollo nonché bieco distruttore del proprio pianeta. Il mezzo? Brutal death metal dall’alto contenuto tecnico/tecnologico. Inteso sia come grandiosa dimostrazione di tecnica strumentale, sia come mood. Questo futurista, quasi cyberpunk, addirittura.

Obbedendo alla tradizione del (sotto) genere musicale, a causa di un tremendo inhale che sfonda letteralmente i polmoni di chi volesse iterarlo, è purtroppo totalmente intelligibile ciò che vive sulle linee vocali. Il che è un peccato, poiché i temi affrontati sono tutt’altro che banali ma tant’è, il brutal è il brutal – anche – per la sua refrattarietà a rendere comprensibili i rigurgiti delle ugole all’uopo impegnate.

Detto questo, non rimane che affrontare l’ennesimo, mostruoso, invalicabile muro di suono innalzato, in questo caso, da una sola chitarra (sic!), e cioè quella di Von Young. Autore di qualsiasi fattispecie esistente di ultra-estremo che possa interessare il suo strumento. Riff complicatissimi, dissonanze, disarmonie, soli lancinanti sì da trapanare i timpani. Ma, soprattutto, nel complesso, un rifferama spesso e profondo che, da solo, forma una sorta di blocco assai massiccio lanciato a folle velocità nello spettro audio, devastando tutto ciò che incontra nel suo dissennato, allucinato incedere.

Il potentissimo rombo del basso Steven Chavez e la super-tentacolare batteria (dal rullante un po’ debole, però…) di Dan Klein che, probabilmente, non esegue una battuta uguale all’altra. Un insieme di tre persone, quindi, che riescono a costruire una struttura sonora le cui propaggini più lontane dal tronco si perdono nei scellerati territori dei blast-beats.

Se da un lato nulla si può criticare di un sound davvero complesso e perfetto nella sua elaborazione, perlomeno secondo i dettami del brutal, diventa al contrario meno semplice riuscire a interpretare in maniera univoca uno stile troppo ligio al dovere, troppo legato a cliché triti e ritriti. Il che rende arduo individuare i Nostri in mezzo a tanti (troppi?) act che si cimentano nella foggia musicale predetta. Chiaramente anche le canzoni soffrono un po’ di questa costrizione (voluta? Non voluta?), risultando di conseguenza piuttosto difficili da individuarle compiutamente in ordine alla necessaria variabilità.

Nonostante tutto questo, “Degenesis” è un disco di debutto che lascia intravedere un gruppo, o meglio un trio, già ben instradato verso una completezza artistica che non sia solo formale. Sarà loro compito, quindi, dimostrare di avere nelle corde quel tocco in più nella composizione delle singole tracce, sì da dar vita a un prodotto davvero completo.

Per chiudere, i Colossus meritano senz’altro un ascolto, beninteso da parte di un pubblico di appassionati, se non altro per la loro fedeltà alla linea. Questo, sì, un buon pregio.

Daniele “dani66” D’Adamo

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