Recensione: Dehumanizer
Geezer Butler – Bass
Ronnie James Dio – Vocals
Tony Iommi – Guitars
Vinnie Appice – Drums
Correvva l’ormai lontano anno 1992, quando Geezer Butler, l’allora bassista dei Black Sabbath, dopo aver assistito a una performance live di Ronnie James Dio, decise che la ventata di aria nuova che stava cercando per rinvigorire la sua band, dopo anni di opaco grigiore, sarebbe potuta arrivare solo reinserendo questo portentoso artista nella sua line up.
Infatti Dio possedeva già dei trascorsi nella band, come diretto successore di Ozzy Osbourne, all’ inizio degli anni 80.
La sua prima esperienza come singer dei BS fu molto breve a causa della grandissima attrattiva che il suo personaggio esercitava sul pubblico, lasciando in ombra i due leader della band, il già citato Geezer Butler e Tony Iommi, che rendendosi conto di quanto accadeva, resero la vita a Dio molto, molto difficile, costringendolo infine all’ abbandono.
I problemi che seguirono il suo rientro, non furono pochi, le divergenze passate non rappresentarono un facile ostacolo da abbattere, ma due uomini intelligenti e lungimiranti come Butler e Dio, riuscirono a rimettere tutto in gioco e a ricominciare da capo la loro avventura con i Sabbath.
Fu da questa loro nuova unione che nacque Dehumanizer, album dalle caratteristiche veramente affascinanti e particolareggiate.
Ma passiamo al sodo.
La canzone cui mi preme di parlarvi fin da subito è “Time Machine”, diventato un vero cult dell’ hard rock e dell’heavy metal anni 90, con un refrain che resta impresso a caratteri cubitali, fin dal primo ascolto: orecchiabile e intenso, riffs eccelsi e dalle sonorità sempre diverse e accattivanti. Questo è forse il pezzo che ha regalato nuova linfa vitale a questi artisti e che ha fatto invaghire di nuovo di fans dei Sabbath, che avevano perso attrattiva nei confronti della band, dalla fine degli anni 80 in poi, e che improvvisamente si ritrovarono con un gruppo di musicisti esperti, motivati e galvanizzati dalla pace fatta con un vecchio amico, e pronti a rilanciarsi sui palcoscenici di tutto il mondo. Non a caso, successivamente la band scelse di girare anche un video musicale, dedicato a questa straordinaria canzone.
Altro pezzo molto importante per descrivere in maniera precisa questo disco è sicuramente “I”, caratterizzato dalla voce di Ronnie che scandisce e mette in chiaro in maniera egregia cosa ci aspetta se si continuerà ad ascoltare il pezzo. Incalzante, poderoso, aggressivo: con questi tre aggettivi potrei fermarmi nel descrivere quello che si prova ascoltando questo fantastico singer eseguire questo pezzo, ma sarebbe ingiusto oltre che superficiale. Soprattutto nei confronti degli altri membri della band, Butler in primis, che qui esegue dei giri di basso da capogiro ( consentitemi il gioco di parole ), sempre puntuali e penetranti. Capolavoro assoluto.
Unitamente ad “I”, un’altra canzone che reputo veramente degna non solo di nota, ma di lode, è “Computer God”. Ho scelto di descrivere questo pezzo fra gli highlights perché in questo modo, posso rendere il suo anche ad un altro grande artista quale è Tony Iommi, chitarrista dalla indubbie qualità, che qui si esprime veramente in tutta la sua classe e personalità, detta i tempi, conduce, da il là agli altri strumenti, mostra una sicurezza veramente rimarchevole.
Grande amico e partner inseparabile di Ronnie James, oltre che abilissimo drummer, Vinnie Appice sarà il quarto componente dei Black Sabbath per questo Dehumanizer. Eseguirà, oltretutto, una performance di tutto rispetto, suonando in maniera impeccabile pezzi anche molto difficili, come “TV Crimes” e “Buried Alive”, dimostrando comunque di avere mestiere e carattere da vendere.
Questo album ci fa rendere conto di come siano importantissime, per una band, la convinzione nei propri mezzi, la costanza e l’unità d’intenti, e che sia possibile anche superare ostacoli apparentemente invalicabili, grazie soltanto alla forza di volontà.
Questo disco, ripeto, è un esempio calzante di ciò a cui mi riferivo pocanzi: in tutta la lunghezza della recensione, è stata mia premura quella di descrivere le condizioni ambientali da cui questo disco è nato, infatti, se fosse stato un fallimento completo, non ci sarebbe stato niente da dire, ma i Black Sabbath, componendo un disco così affascinante e completo, hanno veramente dimostrato che la sola tecnica, nella musica, porta veramente a poco, se non c’è convinzione e unione fra i musicisti che vi lavorano.
Daniele “The Dark Alcatraz” Cecchini
TRACKLIST
1. Computer God
2. After All ( The Dead )
3. TV Crimes
4. Letters From The Earth
5. Master of Insanity
6. Time Machine
7. Sins of The Father
8. Too Late
9. I
10. Buried Alive