Recensione: “Del Regime Invisibile”
Chi ascolta tanta musica, indipendentemente dal genere o dalla corrente musicale in cui è incanalato, sa che, oggigiorno, c’è poca ispirazione artistica in circolazione. Ma ogni tanto compare un disco, di band praticamente sconosciute, che ti mette in allerta e ti dici: ‘Wow, che è sta roba? Che stanno facendo?’. Mi è successo in passato con gruppi come i britannici To-Mera o i francesi Akphaezya.
Questo è invece il caso di “Del Regime Invisibile”, full-length di esordio dei Dasia. Un disco davvero ricercato, unico nel suo genere in quanto nato da molteplici ispirazioni sapientemente amalgamente con un equilibrio chimico in grado di superare i confini dell’ordinario.
E ora viene la parte più difficile ovvero cercare di raccontarvi quanta genialità e qualità di idee sono contenute in questo album.
Che attitudine artistica troverete dentro “Del Regime Invisibile”? La composizione ha un mood distopico e disturbante; è un vero e proprio magnete emotivo che cattura e porta all’interno della musica. E questo mood, che cattura e coinvolge, è determinato da un mix perfetto di più stili. Si va dal post-rock allo sludge, che determinano causticità e groove, passando per tratti distesi dal flavour elegantemente fusion, con spruzzi di dark che diluiscono il tutto tra tinte grigio scure. Infine, arrangiamenti geniali alla chitarra legano una una sezione ritmica dalla marcata attitudine progressive metal. Verrebbe da dire che “Del Regime Invisibile” è un vero e proprio must per gli amanti dell’avant-garde più sperimentale, quello delle visioni teatrali dove l’ascoltatore viene letteralmente abbracciato dall’aura dark emanata davanti a lui.
Tre i musicisti dietro gli strumenti: Edgardo, Elettra e Luca. Tre musicisti in grado di dar vita ad una alchimia compositiva davvero ricercata.
Ogni canzone è una piccola gemma musicale, ricchissima di personalità. Ognuna di queste gemme rappresenta un colore emotivo caratterizzato da tinte più o meno buie e oscure, da riflessi sfuggenti e disorientanti. Si va dal massiccio incedere di eleganti intrecci compositivi di ‘Nascondendo il Bene’ fino a sfociare nei distesi intramezzi filo-jazz di ‘Polveri Sottili’ che si esprime con profondità, anche grazie alle narrate liriche sulla condizione dell’essere umano. ‘Horror Vacui II’ propone groove acido, mentre ‘La Nostra Resa’ trascinerà la vostra mente in un vortice di convergente ossessione. Non c’è un solo brano debole. Non c’è un solo passaggio ridondante. No filler. No tratti stanchi o trascinati a forza. No inutili orpelli. Qui è tutto essenziale e curato, assolutamente necessario. È tutto un intreccio di musica, idee, feeling.
Unica osservazione, ma dettata da puro gusto personale, qualche solo in più qua e là, anche una sola scala suonata con profonda interpretazione, avrebbe impreziosito questo piccolo gioiello nonché, probabilmente, l’avrebbe fatto brillare maggiormente.
Veniamo ai testi. Quello che viene ‘rilasciato’ a tratti narrato, spezzattato qua e là è, nel complesso, un unico poema, concepito dalla mente della bassista e cantante Elettra. L’artista ci racconta la sua personale visione dell’umanità e di come questa passi dall’autoanalsi alla consapevolezza di un mondo soffocante, fino all’urlare la professione di una fede liberatoria. Si viene letteralmente condotti in un viaggio interiore dove la mente alterna l’urlo della consapevolezza al meccanismo dei suoni. Un vero e proprio chaos equilibrato fatto musica.
Ed infine i suoni. La produzione è potente e la ricerca a monte di come devono suonare i brani non casuale. Si percepisce ogni singolo strumento e quindi ogni idea dietro di essi, segno dell’abilità tecnica dei tre, nonché della loro volontà di far emergere il significato del disco fino all’ultima nota, fino nel profondo di ogni arrangiamento. E qui un complimento pure a chi è stato in grado, in studio, di valorizzare una porposta musicale complessa e ricercata come “Del Regime Invisibile”. L’artwork è particolare e ci azzecca perfettamente. Ad onor di chi lo ha concepito, vi diciamo che è stato realizzato da Giuliano Cesco.
L’aspetto magico di questo concept è che può essere ascoltato partendo da qualunque brano e skippato da destra a sinistra, da sopra a sotto, da dentro a fuori. La forma canzone e il suo testo risultano sempre organici, poetici e coerenti. Le emozioni sono disturbanti, ma è spettacolare come non se ne possa fare a meno.
A parer di chi scrive, siamo di fronte ad un piccolo capolavoro, nato da idee grandiose e articolato con una complessità funzionale all’ascolto. Ma il suggerimento che mi sento di darvi è che venga ascoltato almeno una volta dall’inizio alla fine. Ne godrete di un trip distopico che non vi lascerà insensibili. Congratulazioni ragazzi!
Nicola Furlan