Recensione: Delayed Death – 1984/1989 The Years of Collapse
Quando si ha seminato per anni, poi è giusto raccogliere i frutti. “Delayed Death – 1984/1989 The Years of Collapse” dei catanesi Schizo è la completissima raccolta antologica licenziata dalla F.O.A.D. Records che contiene tutte le registrazioni anni ’80 (per la precisione dal 1985 al 1989; il 1984 è l’anno della fondazione del gruppo) dello storico combo Thrashcore siciliano. Vedere incorniciare i propri inizi in codesta operazione declinata su due Cd non è da tutti. E si ritorna al concetto del raccolto di cui sopra.
Per arrivare a questo livello di release bisogna avere dietro una Storia, un seguito, qualche contradizione e uno zoccolo duro di fan da culto. Ingredienti dei quali S.B. Reder e soci sono in possesso, nelle giuste dosi. In più, di loro, gli Schizo ci hanno messo anche quella sana fornitura di vis polemica che di certo contribuisce a mantenere alto il livello di tensione che circonda la band. Il riferimento a qualche sbandata in ambito politico del passato è voluto, così come è doveroso rimarcare che poi si dissociarono da quel peccato di gioventù, tant’è che su Delayed Death – 1984/1989 The Years of Collapse vi è scritto a chiare lettere che “Schizo is an anti-political band. We hate any political involvement from all sides. We are concerned with music not politics”.
Ci sono raccolte e raccolte, quelle “tanto per fare” e quelle di eccellenza. Questa, realizzata dalla F.O.A.D. Records, trasuda qualità: confezione digipak a 4 ante con 2 booklet incorporati (uno per parte) per un totale di una quarantina di pagine pregne di chicche, fra foto d’epoca, note esplicative, estratti da fanzine e da riviste, flyer e testi. Un lavorone che una band che ha precorso i tempi, non solo in Italia, si meritava.
Il primo Cd è a totale appannaggio di Main Frame Collapse del 1989 mentre il secondo, “Before the collapse 1985-1987” Demo collection contiene tutto quanto realizzato per l’appunto fra il 1985 e il 1987 precedentemente al debutto su full length: “MFC” Demo (1987), “Total Schizophrenia” Demo (1986), “Thrash the Unthrashable, Thrash to Kill” Demo (1985) e delle Bonus rehearsals (1985). Il tutto per un totale di 31 pezzi, masterizzati al Toxic Basement Studio.
Quello che stupisce, di questo secondo Cd, è proprio la “botta” che arriva alle casse: dura, violenta, primitiva e con un buon suono globale, tenendo sempre conto che si sta parlando degli anni Ottanta. Troppe volte ci si è imbattuti, in passato, in operazioni similari riferite ad altri gruppi ove la resa sonora era però di bassissimo livello, benché spacciata come chicca imperdibile. In questo caso no, assolutamente, le venti bordate sparate in faccia da S.B. Reder (chitarra e voce), Alberto Penzin (basso e voce) e dalla coppia Marcello Rapisarda/Carlo F. alla batteria con il primo alle prese col microfono sul Demo 1985 arrivano forti, “secche” e chiare, a dimostrare sul campo il value for money dell’intero prodotto.
Trattasi di violenza allo stato brado tramutata in musica. Ricordo oggi come allora lo shock procurato dai catanesi nei confronti della scena dura nazionale, anche per via di certune soluzioni estreme perpetrate a livello di grafica e sulla scelta dei titoli di alcuni pezzi. Il secondo Cd non fa altro che testimoniare tangibilmente il cammino che ha portato gli Schizo poi ad incidere Main Frame Collapse, per lo scriba ancora oggi l’highlight della loro produzione, così come lo zenit di quel disco sia incarnato dalla malatissima e allucinata title track. Tornando al secondo Cd, a partire da “Sick Of It All” sino all’ultima canzone “vera” del lotto, “Hardcore Life” (quelli che seguono sono pezzi strumentali), si viene letteralmente investiti da una colata lavica di nerissimo Thrash Metal incandescente imbastardito da schegge provenienti dall’hardcore e dal punk. Una miscela di brutalità animale che lascia, ancora oggi, annichiliti, per la veridicità che sa esprimere. Dal punto di vista delle grafiche a corredo, imperdibile la foto di Reder, Penzin e Rapisarda schierati in un garage di fronte a una Fiat Ritmo e a una Fiat Uno, così come gli estratti da Slayer Magazine e Metal Forces. Per quanto afferente Main Frame Collapse riprendo, adattandola leggermente, la recensione scritta col cuore a suo tempo da Alberto “Hellbound” Fittarelli, sempre su queste stesse pagine web a sfondo nero.
Si è spesso sentito citare, tra gli artisti heavy metal italiani, il nome degli Schizo con aria reverenziale, come pionieri della scena estrema della penisola. A ragione. La band, formata nel lontanissimo (musicalmente parlando) 1984 ed iscritta quindi nel ristrettissimo circolo che vedeva all’opera, all’epoca, solo Bulldozer (1980) e Necrodeath (1985) per quanto afferente coloro i quali andavano “oltre”, si dichiarò da subito ispirata dalla primordiale scena thrash tedesca, così come da Venom, Hellhammer e compagnia bella, senza dimenticare una componente proveniente dal punk più duro. Insomma, tutto ciò che di realmente “estremo” quel momento proponeva, alimentando la passione di pochissimi “pazzi” in giro per l’Italia. Main Frame Collapse, del 1988, fu l’apice della loro carriera, un Lp circolato come vero e proprio culto tra gli appassionati di cui sopra: un suono primordiale (è un po’ la parola chiave di tutta questa recensione, come del resto di quegli anni) e precursore, che influenzò negli anni successivi decine di band. Giusto per citarne una, un certo Dani Filth li ha sempre additati come parte della propria crescita musicale… In realtà le cattivissime canzoni degli Schizo nulla avevano a che vedere con goticismi sinfonici, allineandosi a pattern di batteria spesso esasperati ed a vocal aspre, ma ancora legate strettamente al filone thrash. Una “Epileptic Void” esemplifica al meglio quanto sviscerato sopra: batteria lanciata ma dinamica, chorus degno di un vero e proprio inno, assoli semplici e dissonanti in perfetta sintonia col mood generale unii a una carica dirompente.
Tutta la tracklist in realtà è una summa di quanto la mentalità del tempo permetteva di intravedere come “sperimentazione” (ricordiamo che sonorità come queste fracassavano letteralmente molte, ma molte barriere nel Paese di Sanremo): le vocal di Ingo (track 1-5, 11), mentre S.B. Reder (track 6-8, 10), attivo anche nei primi Necrodeath, incorniciano vere e proprie schegge di violenza come “Removal” (divisa in due parti, una sorta di proto-grindcore), l’altrettanto breve e brutale “Violence At The Morgue” o la più strutturata “Threshold of Pain”. Dentro questi solchi c’è attitudine, passione e sudore che fece a pugni con una certa indifferenza da parte di alcune fette del pubblico. Ma la storia diede poi ragione agli Schizo.
In conclusione “Delayed Death – 1984/1989 The Years of Collapse” rappresenta una buonissima occasione per addentrarsi all’interno delle origini del Metallo Estremo nazionale, che seppe influenzare più e più band anche oltreconfine.
Stefano “Steven Rich” Ricetti