Recensione: Delusions Of Grandeur
Verrà forse il giorno in cui il computo del tempo sarà basato, anziché sulle rivoluzioni terrestri o sull’alternarsi delle stagioni, sulle uscite dei Circle II Circle. Puntuale come un orologio floridiano il nuovo album del combo capitanato da Zachary Stevens fa la sua comparsa sugli scaffali, preceduto dall’EP d’ordinanza, ai canonici diciotto mesi di distanza (settimana più, settimana meno) dal predecessore. Certo affidabile ma forse anche un po’ sospetto il ritmo veloce e regolare che l’ex-voce dei Savatage ha imposto alla sua creatura: un anno e mezzo non è oggigiorno un lasso di tempo poi così abbondante per raccogliere le idee, distinguere quelle buone da quelle cattive e filtrare le migliori in un disco all’altezza del proprio autore. Finora la discografia dei Circle II Circle si era mantenuta su livelli più che dignitosi, talora anche notevoli. Le aspettative sono state rispettate anche questa volta?
Dal punto di vista delle coordinate generali, non si può dire che “Delusions Of Grandeur” si distacchi più di tanto dai suoi predecessori – d’altronde mancava il tempo materiale per elaborare innovazioni degne di nota. Senza dubbio più roccioso, oscuro e moderno di “Burden Of Truth” e soci, la nuova fatica di Zak si adagia comunque senza grandi resistenze nel solco dei predecessori. E anche in questo non manca di dimostrarsi completamente affidabile. Sì, ma le canzoni?
Diciamolo pure liberamente: l’inizio non è dei più incoraggianti. “Fatal Warning” esordisce con un riffing davvero pesante e aggressivo, che non senza audacia si scrolla di dosso gli ultimi lembi del passato Savatage, ma l’entusiasmo si infrange rapidamente su una struttura arida e piatta come una parete di pietra: nessun sussulto, soli poco ispirati, linee vocali inespressive e un refrain fra i più fallimentari degli ultimi tempi. Le successive “Dead Of Dawn” e “Forever” faticano poco a far meglio di quello che si rivelerà l’episodio peggiore della tracklist, ma alla miccia accesa dalle chitarre non fa seguito la deflagrazione promessa. La voce piacevolmente ruvida e graffiante di Zak fatica a dare la giusta impronta alle melodie, alcune buone intuizioni strumentali (come il solo di “Forever”) sono diluite in mezzo a passaggi deludenti. Dopo tre brani senza particolari acuti, mentre qualcuno forse già si prepara al naufragio, ecco all’improvviso il colpo di coda. Ci vuole “Echoes”, prima e unica ballad in scaletta, perché Zak si ricordi in quale cassetto aveva chiuso il suo talento. La potenza lirica che gli fu riconosciuta già ai tempi di “Edge Of Thorns” esplode in un refrain sofferto e passionale come non si sperava più di sentire: è la svolta. “Waiting” riparte veloce e azzecca tutti i passaggi melodici, “Soul Breaker” sterza verso un heavy rock moderno ma di gran classe, fatto di muscoli e sudore. La band ritrova la sua vena migliore e mette a segno anche una grandiosa “So Many Reasons” – potente, cadenzata e accattivante – che probabilmente avrebbe meritato la prima posizione assai più di “Fatal Warning”. Inutile negare del resto che il momento più ispirato della tracklist, eccezion fatta per la succitata ballad, concide con l’unica occasione di riconciliazione con lo spirito dei Savatage. La magistrale “Every Last Thing”, con il suo attacco di piano e il mirabile crescendo di cori che si riallaccia direttamente ai fasti di “The Wake Of Magellan”, è una dimostrazione di forza che permette a Zak e soci di congedarsi con onore e riscattare appieno l’incipit non proprio incoraggiante.
Affidabili: i Circle II Circle confermano le proprie qualità mentre smentiscono ancora una volta quanti li volevano meri epigoni dei Savatage. È soprattutto sulla distanza che “Delusions Of Grandeur” sa dimostrare il proprio valore: la sua seconda parte in particolare riesce infatti a distinguersi per longevità e capacità di crescere col passare degli ascolti. L’altra faccia della medaglia è un disco che non si allontana più di tanto dalla linea tracciata dalle uscite precedenti, sulle quali peraltro non riesce a svettare in modo netto. Chi, come il sottoscritto, ha un debole per l’ugola di Mr. Stevens, può del resto andare a colpo sicuro, a patto sempre di non lasciarsi scoraggiare dal primissimo impatto. Per il resto, se tutto va secondo i piani, ci si rivedrà a fine 2009.
Riccardo Angelini
Tracklist:
1. Fatal Warning
2. Dead of Dawn
3. Forever
4. Echoes
5. Waiting
6. Soul Breaker
7. Seclusion
8. So Many Reasons
9. Chase the Lies
10. Every Last Thing