Recensione: Demiurgus
Incredibile debut-album per gli statunitensi Equipoise. Nati nel 2015, il tempo di aggiustare la mira con un EP (“Birthing Homunculi”, 2016) ed ecco “Demiurgus”, full-length dalle grandi qualità tecnico/artistiche.
Lo stile è il technical death metal. Qualcosa di ostico. Qualcosa che il più delle volte è difficile da digerire, impossibile da assimilare. Qualcosa, che, a torto – come dimostrano gli Equipoise – , è spesso retaggio di chi si considera un po’ al di sopra delle parti. Con un pizzico di presunzione, magari. Qualcosa che, al contrario, gli Equipoise stessi rendono accessibile anche a chi, magari, preferisce altri lidi del metal estremo. E questo, nonostante una spaventosa mole di note e accordi che vengono sparati alla velocità della luce nelle varie canzoni che compongono il disco.
La tecnica esecutiva è assestata sui massimi livelli producibili da esseri umani. Questo perché i Nostri riescono a sviscerare tutte le loro idee, e sono tante, pure multiformi, con perfezione si direbbe diabolica, se non fosse che Satana qui non c’entra nulla, procedendo a velocità a volte parossistiche. Anche quando il forsennato, ipercinetico drumming di Jimmy Pitts diverge verso blast-beats dagli inconcepibili BPM, la formazione della Pennsylvania non perde mai, nemmeno per un attimo, il filo del discorso. Dimostrando, con ciò, grande compattezza e coesione fra i membri sia negli intermezzi strumentali (‘Shrouded’), sia nelle spaventose accelerazioni del ritmo (‘Sigil Insidious’). Un ideale gioco di squadra, cioè, che produce degli ottimi frutti.
Di per sé il sound è pazzesco con la classica strumentazione a quattro elementi. Come se non bastasse, gli Equipoise propongono tre chitarre e altri strumenti non sempre presenti all’appello, come il pianoforte e le tastiere. Con che, l’impianto sonoro di “Demiurgus” diviene semplicemente mostruoso, con il povero Stevie Boiser intento a inventare linee vocali con un inhale a volte suinico che si abbarbica, e bene, alle mirabolanti sovrastrutture di un muro di suono che definire così massiccio da essere impenetrabile è poco.
‘Reincarnated’ è un altro breve intervallo dettato dalle chitarre classiche che sanno di flamenco, come a voler dire che tutto è possibile, in “Demiurgus”, e che il combo di Pittsburgh è in grado di fare ciò che gli pare, quando gli pare, dove gli pare. Così non è, però, giacché “Demiurgus” stesso è un CD segnato da una buone dose di logica nonché coerente con se stesso; nel senso che tutte le song vivono di vita propria ma obbediscono fedelmente a uno stile centrato, decisamente personale. Il cosiddetto marchio di fabbrica che, nel caso in ispecie, assume dei contorni ben precisi, dal segno deciso e profondo.
La multicolore mistura inventata da Boiser e compagni non può e non deve passare inosservata. Chiudendo gli occhi e concentrandosi su tracce come la formidabile suite ‘Dualis Flamel’, la mente può proiettare sulla parte interna della scatola cranica mondi immaginari, come suggerito dall’artwork di copertina; ricchi di tinte, suoni, visioni. Caleidoscopici. Il tremendo lavoro del guitarwork di Phil Tougas, Nick Padovani e Sanjay Kumar – spettacolare sia in fase ritmica, sia in quella solistica – può essere assimilato alle pennellate di un artista nella cui testa ronza forte ed estesa una creatività apparentemente senza limiti, cui contribuisce anche il basso di Hugo Doyon-Karout, per nulla convinto di prendere parte a un sound così immenso solo come mero comprimario o semplice esecutore.
Con tali caratteristiche, il technical death metal degli Equipoise assume, anche, un lato accattivante grazie alla ridetta intrusione delle chitarre acustiche ma anche a un’armonia generalizzata che, quasi come un’antitesi, si fonde con qualcosa che è solo tecnica, solo virtuosismo.
Questo, in definitiva, rende “Demiurgus” un’Opera Prima dotata dell’inimmaginabile capacità di essere piacevole da ascoltare, malgrado la titanica quantità di musica che essa racchiude. Un pregio raro, nel genere di cui trattasi, che rende gli Equipose come una delle sorprese positive di questo inizio di 2019.
Da osservare, anzi, ascoltare, con la massima attenzione.
Daniele “dani66” D’Adamo