Recensione: Demon
Fine ultimi anni settanta, primissimi anni ottanta. Contrassegnati ancora, nell’ambito della musica estrema, dal punk inglese anche se in leggero declino, e – soprattutto – dalla nascita dell’heavy metal, che avviene sulla scia della leggendaria colonna sonora del cartone animato per adulti “Heavy Metal” (1981). Il movimento-base si chiama “New Wave Of Brithis Heavy Metal”, più conosciuto come “NWOBHM”. Anni degli AC/DC, pure, tedofori di un’inarrestabile tendenza del rock classico a indurirsi (“Back in Black”, 25 luglio 1980). In questo contesto di grande cambiamento musicale e di istintiva ricerca di sonorità sempre più estreme si inseriscono i Venom con il loro primo lavoro. Una musicassetta, ovviamente, date le tecnologie dei tempi, a rappresentare un demo intitolato “Demon”, uscito il 29 aprile del 1980. Solo tre canzoni: ‘Angel Dust‘, ‘Raise the Dead‘ e ‘Red Light Fever‘. Tre semi dalla grande importanza storica per ciò che da lì a poco sarebbe venuto con il debut-album “Welcome to Hell” (‘Angel Dust‘, ‘Red Light Fever‘) e con il successivo, fondamentale, “Black Metal” (‘Raise the Dead‘).
Fondamentale, sì, poiché esso decreta ufficialmente la nascita di un genere a sé stante, il black metal, appunto, assai lontano, occorre sottolinearlo, da ciò che è il genere stesso oggi ma anche ieri e l’altro ieri. Rock’n’Roll tirato à la Motörhead (“Ace of Spades”, 8 novembre 1980) ma, prima di tutto, grande importanza e rilevanza ai temi trattati. Benché già i Black Sabbath li avessero sfiorati (“Paranoid”, 18 settembre 1970), i Venom sconvolgono l’underground riferendosi esplicitamente a Satana e alle sue legioni. Testi maligni, pervasi di blasfemia, talmente esagerati nella loro brutalità da essere considerati, dai critici dell’epoca, come semplice mezzo per pubblicizzare la band; giungendo in tal modo a creare una sorta di “lotta della Verità” con gli altri sulfurei padri delle tenebre, i Mercyful Fate (“Melissa”, 30 ottobre 1983). Tornando all’aspetto musicale della questione, una cosa è certa: i Venom sono malvagità pura anche in essa, rappresentata da canzoni corte ma violente, dure, veloci, pesanti. Come non mai. Il gruppo è ancora nella formazione a quattro elementi, che poi si trasformerà nel magico trio composto da Cronos, Mantas e Abaddon. Nel demo-tape vengono messe a fuoco tre song micidiali, che pugnalano al cuore. Mantas inventa un nuovo modo di suonare la chitarra, cioè con riff quadrati, granitici, stoppati dalla tecnica del palm-muting – nota sin dal Rinascimento ma ancora poco applicata allo strumento elettrico – , effettati dal famigerato Flanger per renderli più dinamici possibili, distorti per manifestare una rabbia intrinseca che riesce a trovare sfogo grazie ai Watt della musica stessa. Mantas, autore fra l’altro di soli lancinanti, taglienti come la lama di rasoio, inseriti fra le strofe per far male (‘Raise the Dead‘). Mantas, accompagnato dal rombante basso di Cronos, invece nudo e crudo, che pare scartavetrare la pelle, e da Abaddon, batterista mobile e sciolto, rapido nei movimenti ma talvolta poco preciso nei vari passaggi di ritmo. Fatto che non inficia affatto il risultato globale dello stile inventato dai Nostri ma che, anzi, lo rende ancora più caotico, davvero infernale. Anonima e fiacca, invece, l’interpretazione di Jesus Christ che, difatti – da lì a poco – sarà sostituita da quella, assolutamente malvagia, dello stesso Cronos. Tutte e tre i brani presentano comunque, in embrione, tutte le caratteristiche tipiche di uno stile irripetibile, di un’epopea. Lo stile dei Venom. Lo stile dell’Inizio. Lo stile della Leggenda.