Recensione: Demonic Possession
“Tsjuder plays raw and brutal Black Metal, and take total distance from most of the ‘new wave’ melodic, atmospheric, folkloric, trollish, vampiric, etc… “Black metal”!”
Basterebbe questa semplice e decisa dichiarazione d’intenti ad inquadrare alla perfezione i norvegesi Tsjuder: un nome noto ai cultori del genere, dato che il gruppo calca i palchi sin dal lontano 1993, e che in un decennio ha saputo costruirsi abilmente la fama di cult-band nel sempre più oscuro ambiente black metal. In un momento di grave riflusso del movimento norvegese, dopo i fasti degli anni ’90, quella che le fanzines in ciclostile che circolavano anni fa chiamavano “chainsaw black metal” band è riuscita infatti, nell’angusto spazio di 2 soli albums più un EP, a scavarsi una piccola nicchia di estimatori, pronti ad apprezzarne la coerenza e la rigidità nel voler conseguire i propri obiettivi; oltre che, ovviamente, le capacità musicali.
Che questo gruppo di Oslo non sia fatto da quindicenni smaniosi di emulare le gesta dei padri del Black lo si può sentire sin dalle prime note di Demonic Possession, se si ha l’orecchio allenato: gli Tsjuder mettono infatti insieme una strana, ma a suo modo originale, miscela di puro sound norse con elementi presi pari pari dal death e dal thrash più grezzi e calati nel tipo di arrangiamento e produzione tipici delle loro terre. L’effetto immediato è davvero retrò, con un impatto non indifferente, tra l’altro: i riferimenti ai vecchi Mayhem ed ai primi Gorgoroth si sprecano, ma mi sento nelle condizioni di tirare in ballo anche il thrash tedesco più underground degli anni ’80. Intendiamoci, non che l’ispirazione sia ai livelli di dischi come Deathcrush o Pentagram: gli alti e bassi non si contano, e si rischia di lasciare che la nostra attenzione si vada a perdere già dopo l’ascolto delle prime due tracce, Eriphion Epistates e la bella Demoner av Satans Rike, indubbiamente gli apici dell’album. La prima è un pezzo ‘ibrido’, perfetto esempio di quella commistione i generi che descrivevo precedentemente, con magari qualche parte un po’ forzata ma nel complesso convincente; la seconda va invece a ricalcare fedelmente i canoni del più lugubre suono uscito dalla terra di Norvegia nei primi ’90, con linee di chitarra distorte, melodiche e dilatate, e lunghe parti sorrette dai blast-beats dell’ottimo drummer Jontho, già messosi in evidenza tempo fa coi Ragnarok.
Il resto del disco segue in verità più linearmente i clichè del genere in questione, lasciandoci sussultare solo a tratti, come sull’arpeggio semi-acustico della strana A Twisted Mind, o sulla conclusiva (outro a parte) Primeval Fear: quest’ultima torna ai livelli delle prime due tracce, surclassandole più di una volta nei suoi 8 minuti e rotti di durata; una vera prova di forza in grado, con i suoi riffs finalmente sentiti ed ispirati, di gelare il sangue nelle vene, se ascoltata nelle condizioni giuste. Lo screaming di Nag è qui ancora più estremo e ferale, espressivo nella sua semplicità; la sua musa potrebbe essere Abbath degli Immortal, per l’impostazione nitida e mai eccessivamente urlata: possiamo infatti distinguere bene i testi, perlomeno quelli in inglese.
Gli Tsjuder si confermano quindi una band di poche parole, altrettanti pochi fatti (numericamente parlando) ma grande coerenza e determinazione: nulla che ci faccia strappare i capelli, ma indubbiamente al di sopra della media delle ultime uscite; al di fuori della vena suicide/depressiva impostata da Shining, Forgotten Tomb e Krohm, ma anche dalle sperimentazioni electro-industrial, quest’album dimostra come la scintilla della qualità possa risplendere anche nella normalità: ora la band è chiamata a sfornare un’opera degna della propria fama, cosa che forse richiederà ancora un po’ di tempo ma che lascerebbe il monicker degli Tsjuder iscritto per sempre nel libro delle cult-bands del Black.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. Eriphion Epistates
2. Demone av Satanas Rike
3. Ancient Hate
4. Bloodshedding Horror
5. Deathwhish
6. A Twisted Mind
7. I-10
8. Primeval Fear
9. (Outro)