Recensione: Demonology
Sul mio mappamondo mi mancava proprio di appuntare una bandierina sulla Thailandia. Ovviamente questo non è per aver visitato il paese del sud est asiatico, anche perché con le mie povere finanze le bandierine da appuntare sono ben poche. Sto parlando invece delle band provenienti dai più disparati posti del mondo che ho avuto l’occasione di conoscere ed ascoltare, come questi Melodius Deite provenienti dalla nazione del muay thai, degli elefanti e del cibo super speziato, la Thailandia appunto.
Formatisi a Bangkok nel 2007 come Melodius, debuttano nel 2008 con Episode I: Dream On. Cambiato il nome nell’attuale Melodius Deite nel 2012, pubblicano due anni più tardi il secondo capitolo dal titolo Episode II: Voyage Through The World Of Fantasy. Il genere proposto è un symphonic power-prog metal di forte ispirazione europea, al quale, con il tempo, si sono aggiunti anche sporadici elementi di metal estremo.
La band nel corso degli anni ha visto numerosi cambi di formazione avendo come perno portante la figura del chitarrista e fondatore Biggie Phanrath.
Il recente Demonology è il quinto album in studio per la formazione thailandese, e vede Biggie Phanrath occuparsi delle chitarre, tastiere e batteria. Al basso troviamo Chanin Shinken, gli assoli di tastiere e le parti di piano sono a cura dello spagnolo Diego Zapatero. Infine alla voce, ecco arrivare lo statunitense Max Cruz, proveniente dai Deadtide ed unitosi ai Melodius Deite nel 2022.
Dopo le note barocche dell’intro Prologue of the Devil arriviamo Lucifer (The Fallen Star), brano veloce che si ispira alla più classica scuola power metal con Phanrath impegnato a sbizzarrirsi in articolati virtuosismi chitarristici. Il tutto culmina poi in un tipico ritornello epico. La seguente Knights of Heaven è una strumentale neoclassica con chitarra e tastiere a rincorrersi in acrobatici shredding. Prince of the Nightfall inizia sognante per poi diventare un power sinfonico come da manuale con i soliti assoli funambolici.
Warrior’s Heart and Soul, che vede la presenza come ospite del brasiliano Raphael Dantas (Ego Absence, Gate Of Paris), rivela un volto un po’ più cupo rispetto a quanto ascoltato finora, offrendo uno stacchetto centrale dal gusto teatrale. Dopo le macabre note di violino iniziali, Full Moon Howls si presenta come un interessante connubio tra power metal e black romantico alla Cradle Of Filth. Due correnti musicali che per quanto diverse, qui troviamo amalgamate in modo abbastanza credibile.
In quasi tutti i brani inoltre, si alternano una serie di ospiti, come il già citato Raphael Dantas, Petter Hjerpe (Morining Dwell, Majestica), Jinn, Anira e Maria Cobos. Dopo la strumentale Heroes Strike Back, arriva la volta di Witchery, che vede la presenza della voce femminile di Anira. Il pezzo è un metal melodico di scuola italiana abbastanza piacevole se non fosse per il finale praticamente troncato con l’accetta. Altro pezzo degno di nota è Overture of Silence, che vede la presenza di Petter Hjerpe. Una canzone che pur senza dire niente di originale riesce ad andare a segno.
Il tempo di un ennesimo duello chitarra vs tastiere sulla strumentale (ebbene sì, un altra strumentale) Prepare for Battle ed arriviamo a Lament of the Banshee, con protagonista la voce di Maria Cobos degli spagnoli The Third Grade. Un brano lento che prova a puntare sui phatos ma non riesce raggiungere risultati particolarmente esaltanti. In chiusura After the Rain, un power glorioso alla Stratovarius risalente al disco d’esordio Dream On, ora riproposto in una nuova versione.
Un disco di symphonic power fatto come da copione questo Demonology, con una buona dose di shredding (evidentemente Biggie Phanrath ci tiene a mettere in mostra la sue abilità). Per quanto ben suonato e ben prodotto però, il disco non riesce a trasmettere particolari emozioni. I Melodius Deite hanno imparato bene la lezione dei maestri del power metal europeo, ma ne hanno fatto una copia carbone senza particolare inventiva. Tutte le composizioni sono ben suonate, ma hanno un forte retrogusto di già sentito. A parte una manciata di tracce più riuscite, per il resto non emergono canzoni che riescano a lasciare un qualche segno particolare. Se poi a ciò aggiungiamo una durata di un ora e qualche strumentale di troppo (ben sei), possiamo dire che Demonology, con lo scorrere dei minuti, tende a stancare.
Anche la copertina, che in ambito power spesso è l’unica cosa salvabile di certi album mediocri, in questo caso sembra un quadretto da soggiorno acquistato per pochi spiccioli da uno svuota cantine.
Inoltre non viene fatta nessuna menzione agli ospiti presenti, su alcuni dei quali non sono disponibili nemmeno informazioni in rete, risultando quindi dei perfetti signori nessuno.
Magari in futuro i Melodius Deite potrebbero anche piazzare qualche buon lavoro, ma non in questo caso.
Per il momento meglio concentrarsi su qualcos’altro.