Recensione: Demons Down
Gli House of Lords sono un gruppo storico, cardine del melodic rock di fine anni ’80 inizio ’90. Una band che insieme ai Giant ed ai Bad English, ma anche ai vari Winger, Extreme, Mr. Big, Firehouse, Steelheart e tanti altri rappresenta gli ultimi fuochi, il gran finale, di quell’importante movimento storico/musicale denominato Hard Rock/AOR. Il gruppo altro non è che la continuazione dei Giuffria, band messa assieme dall’omonimo tastierista dopo lo scioglimento degli storici Angel, altro grande gruppo degli anni ’70 che definire seminale è poco. I Giuffria si sciolsero dopo l’uscita di due ottimi album, l’omonimo del 1984 e “Silk & Steel” del 1986, per il semplice fatto che non vendevano abbastanza. Lo stile della band era un AOR molto tastieristico che faceva delle grandi melodie vocali di David Glenn Esley uno dei suoi punti di forza.
La necessità di dare al sound una sterzata più metallica che desse risalto alle chitarre diede a Giuffria lo spunto per creare una nuova band: gli House of Lords appunto. Sotto l’egidia della Simmons Rec. la band sforna due ottimi lavori: “House of Lords” del 1988 e “Sahara” del 1990, già ampiamente discussi in questa sede grazie alle due ottime recensioni.
Dopo il secondo capitolo discografico che sembra aver fatto raggiungere alla band il disco di platino negli Stati Uniti, l’etichetta del bassista dei Kiss fallì lasciando al proprio destino il gruppo che già doveva affrontare i suoi bei problemi interni visto che erano rimasti i soli Giuffria e James Christian a tenere le redini. Un terzo album sembrava improbabile; ma ecco che nel 1992 un pò a sorpresa esce questo “Demons Down”. La line-up completata dal mitico batterista dei Whitesnake Tommy Aldrige, dal bassista Sean McNabb e dallo sconosciuto chitarrista Dennis Chick compie grandi sforzi per registrare un album superlativo, che si inserisce come perfetto crocevia tra la pomposità del primo capitolo e la metallicità del secondo.
Ad aprire le danze ci pensa “O Father”, Aor levigato, melodico e ben bilanciato. A segiure vi è la title-track, brano che parte con una chitarra acustica in perfetto stile western per esplodere nel ben mezzo in un refrain spettacolare ed altamente melodico. “What’s Forever For” e un esempio di come dovrebbe essere una ballad: superlativa, struggente e molto emozionante, mentre la decisa “Talkin’ ‘bout of Love”, con un lavoro di batteria coinvolgente ed apprezzabile chiude il primo lotto di quattro canzoni. E già qui potrei smettere; l’acquisto è obbligato. Seguono sempre su altissimi livelli il class metal di “Spirit of Love” e “Metallic Blue”; “Down,down,down” è un anthem spettacolare da tenere in fiamme un’arena intera, mentre la seconda ballad “Inside You” è ancora più intensa e struggente grazie al connubio voce/tastiera/chitarra. “Johnny’s Got a Mind of his Own” e “Can’t Fight Love” sono altre due perle metalliche che chiudono un album, a mio parere uno dei vertici della loro discografia, uscito quasi in sordina ed ormai quando il grunge aveva già preso il sopravvento nelle chart americane. Non parlo nemmeno degli attuali House of Lords, riformatisi recentemente in modo dicutibile a seguito della grande ondata di reunion in campo melodic rock e autori di due scalbi album ed un live e mancanti del loro fulcro nonchè fondatore Gregg Giuffria.