Recensione: Den onda pesten
Viaggio nel sommerso, nell’underground più under con questo debut Svartkraft, progetto nato dalla dilagante voglia di esprimersi del leader e mente principe Narqath, che in questo caso sceglie l’appellativo di Godslayer Vassago. Non sazio dei suoi innumerevoli impegni musicali (il più “noto” potrebbero essere i Wyrd), il finnico si butta anche in questa scommessa della quale cura il 90% del totale, spartendo con il compagno Kakos Methusos soltanto l’incombenza dei testi.
Di buon effetto la copertina, con la sua classicissima iconografia medievaleggiante dal sapore occulto e pagano, sempre gradita al sottoscritto e di ottimo accompagnamento ad una musica tanto oscura e marcia. Interessante la doppia personalità di Den onda pesten che si mostra prima sognante e malinconico, poi freddo e sporco come il più maledetto dei black thrash.
Aspettandomi qualcosa di più organico, questa dicotomia mi ha inizialmente spiazzato, infastidendomi e facendomi pensare ad un disco imbastito raggranellando vari spezzoni sparsi, ma non è così. Con un pizzico di lungimiranza se ne apprezza la mutevolezza, capendo che da possibile ostacolo, il collage di produzioni si trasforma in una riuscita sottolineatura delle caratteristiche peculiari di ogni faccia.
Delle due manifestazioni, preferisco la più atmosferica, quella dal suono più “esteso” e meno secco, che apre le danze con “Elements Fall” in ottimo stile burzumiano. Con questo trade mark malinconico e desolante, un filo diretto al periodo Filosofem, nascono e muoiono le tracks più rallentate ed emozionanti quali “Marscherande mot den Svarta Gryningen”, la title track strumentale e la raggelante “Frysande Svart Blod”. Una serie di viaggi ora deprimenti, ora sognanti ed avvolgenti, di buona espressività e giocanti anche sull’estensione dei pezzi.
Di diversa presa le rimanenti tracce, ben più lorde e scarne e completamente immerse nel filone black più marcio. In questo caso il volto sonoro cambia, diventando più grezzo, brullo e sicura fonte di piacere per i blacksters più perversi ed amanti delle sonorità old style. Quattro pezzi mediamente veloci ma ben tarati da essere sufficientemente ficcanti, anche se un po’ ordinari rispetto alla parte più atmosferica del disco. Quattro buoni spaccati pieni zeppi di feeling primordiale, non particolarmente abbacinanti per innovazione ma svolgenti degnamente la loro funzione. Su tutte le tracks del versante sporco, sento prevalere “Liv i ruiner”, dal ritmo più sciolto e riff efficace e la bestialmente malefica “Bortom tid och Genon död”.
Denominatore comune lo screaming straziato, riconducibile allo stile di Burzum anche se meno estremizzato, più canonica ma efficace la voce nei tratti sporchi. Da notare anche l’esecuzione non del tutto inappuntabile in tutti i frangenti, ma che nel contesto dona un certo fascino ben noto a tutti i cultori. Interessante anche il tentativo di inserire assoli melodici dalle sembianze sgraziate all’interno di partiture di questa risma, come nel caso del finale dell’opener; un esperimento tutt’altro che canonico per un lavoro con questi caratteri.
Un disco stimolante, non imprescindibile, ma indicatissimo a coloro i quali piace scavare negli abissi black non contenti della buccia esteriore.
Tracklist:
01. Elementens Fall
02. Besatt av den Femuddiga Stjärnan
03. Liv i Ruiner
04. Marscherande mot den Svarta Gryningen
05. Bortom tid och genom Död
06. Den Onda Pesten
07. En Mörkare Skugga
08. Frysande Svart Blod