Recensione: Departing Of Time
Death metal italiano ancora sugli scudi con i modenesi Ever-Frost, che ribadiscono la buona attitudine delle terre emiliane a partorire band di metal estremo di tutto rispetto come per esempio gli Human Improvement Process.
Sparsi in altre realtà i Nostri calcano le scene da due lustri, anche se la nascita effettiva della formazione è da far risalire al 2008. Da allora, il classico demo d’ordinanza (“The Awakening”, 2009) e quindi il debut-album nel 2013, “Departing Of Time”. Un lavoro che pertanto ha alle spalle una lunga gestazione, spesa evidentemente per mettere a punto anche nei dettagli uno stile difatti ben disegnato attorno a un mix equilibrato di prog e, soprattutto, di swedish death metal.
Anche se, a onor di cronaca, la componente melodica non è così preminente come quella presente nel death scandinavo. Niente refrain travolgenti, niente armonie costruite ad arte per essere cantate in coro, niente cedimenti verso soluzioni troppo semplicistiche. Al contrario, gli Ever-Frost mostrano di aver masticato parecchio metallo classico e, soprattutto, di aver concepito “Departing Of Time” con cura, dedizione maniacale verso i dettagli più fini e totale professionalità.
Tanto per fare un esempio, la precisione che le chitarre ritmiche esplicano nel grattare decine e decine di granitici riff, mutuati pari pari dalla migliore scuola del thrash, è semplicemente disarmante. Perfettamente allineata, insomma, all’implacabile quanto matematica sequenza dello scorrere del tempo. La sincronia di Enrico Annovi e Claudio Mulas con la sezione ritmica, poi, è assoluta; nel senso che tutto l’insieme dà l’idea di muoversi con rapidità cronometrica. Una rapidità che non raggiunge praticamente mai gli eccessi dei blast-beats ma che, al contrario, predilige le battute asimmetriche tipiche del prog. Ecco che, allora, a far pendere l’ago della bilancia dalla parte del death è, alla fin fine, il roco e veemente growling di Francesco Leone, che a volte si dipinge di scream per variare le linee vocali seguendo così le evoluzioni musicali dei suoi compagni.
Evoluzioni che spaziano parecchio nei territori acustici, ove il vocalist adegua il suo approccio con le clean vocals (ancora un po’ acerbe…), dando ulteriormente forza al concetto di prog metal che si respira così spesso fra le tracce del disco. Tutto ciò corroborato dalle evoluzioni solistiche di Annovi, davvero pregevoli nella loro matrice neoclassica e non. Un ‘mastro’ della sei corde assolutamente completo e moderno malgrado i continui richiami alla musica classica.
C’è da dire comunque che i Nostri non esagerano mai con tecnicismi o cose del genere, mantenendo “Departing Of Time” entro i limiti della piena comprensibilità. Le canzoni sono composte con senno e rigore metrico, lasciando poco spazio a lunatiche interpretazioni. Anzi, la grande accuratezza costruttiva che si percepisce in brani come “The White Light Beyond The Wall”, per fare un esempio, toglie proprio quel velo d’imprevedibilità artistica che, forse, sarebbe meglio lasciar fluire liberamente dall’anima della carne a quella degli speakers. Una tendenza a essere ‘troppo’ scolastici che si percepisce, anche, nella tendenza della lead guitar ad allungare gli assoli.
Per essere un’Opera Prima, “Departing Of Time” porta con sé le giuste qualità per essere competitivo a tutti i livelli. La troppa rigidità evidenziata durante il songwriting, tuttavia, ne limita la riuscita completa, lasciando in bocca un retrogusto un po’ amaro ma, anzitutto, appena appena freddo.
Si può e si deve migliorare.
Daniele “dani66” D’Adamo
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