Recensione: Der Rote Reiter

Di Gianluca Fontanesi - 21 Agosto 2017 - 0:03
Der Rote Reiter
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2017
Nazione:
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72

Dopo il succoso track by track di qualche settimana fa (cliccare qui per visualizzarlo), eccoci finalmente di ritorno per esprimere una valutazione definitiva sul decimo album degli Apokalyptischen Reiter, che risulta anche il più lungo della loro più che ventennale carriera. C’è molta voglia di rivalsa da parte del gruppo di Weimar, specialmente dopo la pubblicazione di un mezzo passo falso come Tief. Tiefer; Der Rote Reiter si presenta quindi a noi con ottime premesse e riesce in parte a mantenerle quasi tutte con un buon ritorno alle intensità passate. Ci sentiamo quindi di confermare le impressioni avute durante il track by track e, tirando le somme, possiamo in ogni caso parlare di un buon lavoro. I tredici brani della lunga tracklist scorrono piuttosto bene ma, in maniera quasi prevedibile, si rivelano ben presto esagerati. Forse è proprio questa la sensazione che si ha ascoltando l’album: un voler fare le cose in pompa magna sciorinando iperboli per poi inciampare sui dettagli e buttare tutto alle ortiche. Quello che frega Der Rote Reiter è il dosaggio non appropriato delle idee che rende l’opera un viaggio sulle montagne russe, una specie di saliscendi che si dipana inesorabile per tutto il minutaggio proposto. L’impressione principale che rimane, appunto, è che si sia voluto tenere tutto e pubblicare tutto senza particolari attenzioni o scremature verso i brani più deboli del lotto, e questo inficia in maniera marcata il risultato finale rendendo l’opera “solo” discreta.

Si parte con Wir Sind Zurück, che è un ottimo brano, poi la band si gioca immediatamente la carta della titletrack, che è una traccia oscura e lenta e, stilisticamente, spezza troppo e troppo presto. Ok l’imprevedibilità, ma così non va bene! Auf Und Nieder esalta, Folgt Uns trita le ossa nonostante un incipit pessimo e Hort Mich An è massiccia ma abbastanza inconcludente. L’andazzo è sempre questo: un pezzo o due esaltanti poi un filler, un pezzo o due esaltanti poi un filler e così via. The Great Experience Of Ecstasy spacca di brutto e rimette l’ascoltatore in pace col mondo, Franz Weiss ammorbidisce non di molto e si rivela un brano discreto con un paio di trovate piuttosto ben riuscite; Die Freiheit Ist Eine Pflicht e Herz In Flammen spezzano la catena entrando a gamba tesa e piazzandosi di diritto tra i migliori brani del lotto. Poi che succede? Arriva una certa Bruder Auf Leben Und Tod col suo coretto o-o-o francamente improponibile e zeppa di autoplagi a far venire voglia di un’orgia col tasto skip, che prontamente avviene. Ich Bin Weg tira su il morale ma non troppo, complice un ritornello piuttosto scontato e a questo punto indolore; Ich Nehm Dir Deine Welt è un polpettone che supera i sei minuti e si assesta su una sufficienza striminzita e il finale, affidato a Ich Werd Bleiben che è una buona ballad, assume un sapore malinconico e anche amarognolo.

Una domanda ora sorge spontanea: perché tredici brani? Der Rote Reiter, tolti quei 3-4 filler, sarebbe stato un gran bel disco, certo non un capolavoro ma nemmeno un’occasione persa! In questo caso siamo costretti ad accontentarci, ad esaltare giustamente le buone idee che ci sono e in grande quantità, e purtroppo a trattare in maniera tiepida un album che, con qualche accorgimento in più, si sarebbe inserito in maniera più che dignitosa tra le uscite di un certo peso di questo 2017 che non finisce mai di stupire. I fan comunque apprezzeranno Der Rote Reiter, ma non è purtroppo il botto che tutti aspettavamo.

 

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