Recensione: Descend
Ed ecco l’ennesima band di death metal nostrano che va a ingrassare il già nutrito gruppo dell’‘italian death metal’. Una band che, come tante altre, trova davanti a sé ostacoli quasi insormontabili per raggiungere il traguardo della stipula del contratto per pubblicare un disco con una label specializzata, seppure underground.
Nati nel 2009 a Roma, gli Screaming Banshee hanno dato alle stampe l’EP “The Chronicles” nel 2010 e, quindi, il debut-album, “Descent” (2013), la cui travagliata storia ha fatto sì che, da allora, non si sia ancora arrivati a chiudere la benedetta storia del confezionamento professionale dell’album grazie alla collaborazione con un’etichetta discografica.
Ma, tant’è, i Nostri manifestano la tipica determinazione italica a non mollare la presa neppure punto di morte e quindi, malgrado i mesi passino implacabili dall’uscita autoprodotta di “Descent”, in vista di un’imminente distribuzione ufficiale è scattata l’autopromozione del full-length, nella versione di due anni fa, a mo’ di apripista della prossima uscita sul mercato. Una versione che, nonostante tutto, è più che dignitosa nella sua veste grafica fortemente segnata da forti tinte di rosso.
Dignità che diventa esplosione d’immane forza brutale con la straordinaria opener “After The Nightfall”, clamoroso quanto inaspettato capolavoro d’arte death. Dopo un incipit marziale, la song sciorina uno dei migliori main-riff di sempre, una vera bombardata nucleare sulla collottola! Cambi di tempo stellari, terrificanti decelerazioni, dirompenti accelerazioni. Soli a trafiggere strofa (capolavoro nel capolavoro), ponte e ritornello, trascinati dal growling pulito (sic!) e controllato di Alessandro Iacobellis. Una song che esemplifica il carattere comune del death metal nostrano: l’amore per l’heavy metal.
Basta poco, anche agli orecchi più distratti, per rilevare quanto Iron Maiden, Saxon, Judas Priest e altri Campioni del metallo europeo (e si sottolinea ‘europeo’) abbiano ascoltato i Nostri, durante la loro formazione di musicisti. Un flavour classico (“Anhedonic”) che differenzia nettamente il death metal suonato dagli Screaming Banshee e da altre formazioni italiane da quello straniero, in particolare statunitense.
Come peraltro mostra “When The Stars Come Right”, questo fatto di mantenere elevato il contenuto tradizionale del metal, anche quando le tremende sfuriate dei blast-beats fanno tremare i vetri della camera, alla fine dipinge a tinte forti lo stile dei romani, quasi a formare la forgia ove arroventare il proprio marchio di fabbrica. Certo, ci sono sfasci convulsi e assoluti come “Winter’s Runes”, ove l’intento è evidentemente quello di mietere più vittime possibili, ma sono i brani come “Messiah In Blood” a rivelare tale preziosa peculiarità.
Comunque sia, alla fine, è l’energia che viene sprigionata dalle tracce “Descent” a fare la differenza con tante altre realtà similari. Energia che non significa realizzare record di velocità e/o di pressione sonora in termine di decibel. Energia da intendersi invece interiore, frutto di tanta passione, esperienza e conoscenza musicale in materia. Per un lavoro maturo, ricco di personalità, longevo in virtù della molta carne al fuoco, pulito e lineare, che va dritto all’obiettivo con onesta intellettuale e umiltà.
Un obiettivo, ovviamente, che non può che essere quello della firma del miglior contratto discografico in grado di distribuire al Mondo dell’Underground più capillarmente possibile una chicca come questa.
Bravissimi!
Daniele D’Adamo