Recensione: Descent into Hell
A volte ci sono band che giungono all’agognato traguardo del primo full-length subito o quasi, appena formate, a volte ci sono altre realtà per le quali ciò rappresenta un sogno o, peggio ancora, una chimera.
Quest’ultimo è il caso dei cileni Death Yell che, dopo aver dato alle stampe un demo leggendario nel circuito underground, “Vengeance from Darkness” (1989), si sono persi nelle nebbie del tempo dal 1993 sino al 2013, data di di reunion dalla quale, dopo ancora quattro anni, ha visto finalmente la luce “Descent into Hell”, l’ambita Opera Prima.
I Death Yell macinano death metal, tuttavia spurio, della forma incrociata con il thrash e il black che, un nome su tutti, si era delineata con precisione alla fine degli anni ottanta: quella dei Morbid Angel. Il platter è una mostruosa macchina da guerra, fitta di song dal potenziale devastante, ove l’aggressività è spinta ai massimi livelli possibile. Grazie al ripetuto uso dei blast-beats, a delle linee vocali senza compromessi in ordine a pietà e misericordia ma, soprattutto, in virtù di un riffing incessante, totale, avvolgente. Pulga e Pollo formano una coppia affiatata e concreta, molto consistente nell’eseguire a puntino il proprio compito demolitore e trituratore.
‘Descent into Hell’, la title-track, tanto per citarne una, spacca letteralmente la scatola cranica con la forza di riff violentissimi, veloci, letali, resi possenti da una sezione ritmica che non perde una battuta, che non dà un attimo di tregua. Come insegna la loro storia, i Death Yell non sono dei novellini, e si sente: la tecnica è molto, molto buona, capace di consentire loro di spingersi oltre i limiti della follia senza mai perdere la via maestra, restituendo sempre e comunque un suono pieno, carnoso, poderoso, soprattutto chiaro e assai leggibile.
Lo stile, però, è quello che è: gli anni passano e restare ancorati ai dettami in voga oltre venti anni fa non ha consentito alla band di sviluppare appieno il suo – probabilmente – ottimo livello artistico. Insomma, o questa o quella song hanno il sapore di già sentito anche se, giova ripeterlo, la determinazione ed energia messa in campo dai Nostri (‘Cries of the Nazarene’) è in assoluto di primo piano, anche e soprattutto a livello internazionale.
C’è anche qualche somiglianza di troppo con gli Slayer (‘Betryed Chastity’), a peggiorare un po’ il tutto, anche se i sudamericani sono troppo bravi per non oltrepassare con facilità la sufficienza generale. Pure le tematiche, forse ancora interessanti a cavallo dei due ultimi decenni del secolo scorso, hanno fatto ormai il loro tempo, appesantendo inutilmente l’intero lavoro con rimandi a cliché triti e ritriti.
Alla fine non rimane che constatare con dispiacere che i Death Yell avrebbero sicuramente fatto faville, all’epoca della loro nascita, se fossero stati forniti della chance di poter incidere uno studio-album. Così non è stato con il risultato che, oggi, il tutto appare datato e sorpassato. Tuttavia, “Descent into Hell” è un disco che possiede parecchi punti forti a prescindere da ogni altro discorso sui tempi che passano, per cui, obiettivamente, occorre riconoscere al combo di Santiago un talento forse in grado di farli evolvere in pochissimo tempo verso forme di death metal più moderne e attuali.
Bravi comunque e… si resta in attesa della prossima prova!
Daniele “dani66” D’Adamo