Recensione: Desolation

Di Daniele D'Adamo - 19 Luglio 2013 - 9:57
Desolation
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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63

 

Dal Canada, terra di death – più spesso deviato verso il brutal e il technical – giunge stavolta una band dedita al (sotto)genere meno estremo quindi più accessibile, e cioè al melodic. Gli Your Last Wish festeggiano il decennio di attività con un album nuovo di zecca, “Desolation”, che segue una carriera tutto sommato povera di produzioni discografiche giacché, oltre a quest’ultimo lavoro, si possono contare soltanto un altro full-length (“Your Last Wish”, 2007) e un EP (“Collision Course”, 2011).
 
Forti della presenza di una female vocals, Roxana Bouchard, che, bene o male, rappresenta ancora un’anomalia in uno stile musicale oltranzista come questo – generando inevitabilmente nell’ascoltatore qualche motivo di curiosità in più – i quebecchesi danno l’impressione di badare alla sostanza più che alla vacuità della moda. E, quindi, di pensare a come pestare il più duramente possibile mantenendo, comunque, una certa melodiosità che, seppur mai vicina a quella della scuola gothenburghese, si faccia apprezzare in più di un passaggio.    

La Bouchard non si dimostra l’ultima arrivata, peraltro, poiché affronta con irreprensibile professionalità – e talento – sia le laceranti, schizofreniche linee vocali a base di scream, sia quelle ove è il growling a farla da padrone. Con un’alternanza, fra esse, che evita il loro appiattimento ma anzi rendendole sufficientemente movimentate e varie benché siano del tutto assenti le clean vocals. Una prova nella quale l’aggressività è forse la componente principale, rendendo così onore a una cantante che magari non assurgerà agli onori della cronaca come la sua più titolata collega Angela Gossow, ma che svolge il proprio compito con bravura e onestà. Impressionate, invece, il lavoro svolto dalla coppia di chitarre JF Gagné / Dave Gagné, fautori della costruzione di ritmiche… matematicamente perfette, esemplificative di come si possa raggiungere la massima precisione possibile nell’uso del palm-muting. Dando così al sound una robusta venatura thrash, malgrado – poi – tali ritmiche siano arricchite da merletti e orpelli tipici del death metal melodico. Ottima, parimenti, la qualità dei soli sciorinati dai due axe-man, sicuramente lontani dal concetto di guitar-hero ma coerenti al 100% con il genere proposto. Pure la sezione ritmica, infine, è adeguata alla bisogna: scevra da inutili tecnicismi, svolge il suo lavoro con accuratezza e pulizia, riempiendo tutte inevitabili pause delle chitarre e della voce con un suono caldo e possente. Il tutto per dar luogo a un sound assolutamente adulto, pienamente sviluppato, esente da qualsiasi difetto, nel quale si sente sia la granitica compattezza della formazione, sia la sua decennale esperienza. Un sound vivido, cristallino, profondo, messo su disco con grande competenza e mestiere come si può facilmente evincere pompando sul volume dell’amplificatore.  

Come spesso accade, tuttavia, la tecnica esecutiva dei musicisti e le varie fasi realizzative di un album non sono sufficienti a farne un campione. Anzi, si può che dire che esse siano ‘solo’ necessarie poiché è l’arte, cioè l’abilità compositiva dei songwriter, a fare la differenza. E, in questo caso, malgrado l’evidente impegno profuso dai Nostri, “Desolation” si mostra purtroppo piatto e monotono – oltre che scevro di spunti originali – privo quindi di particolari momenti di grande interesse. Le canzoni sono state elaborate come da scuola melodic death metal, e proprio per ciò manifestamente didattiche. Come spesso accade, quando l’attenzione si sveglia solo durante il passaggio dei brevi intro / intermezzi / outro strumentali, significa che c’è qualcosa che non va. E questo qualcosa è la mancanza di song tali da mantenere costante l’attenzione di chi ascolta. Tanto e vero che, dopo parecchi ascolti del platter, non rimane granché, in testa.    

Nell’insieme “Desolation” si lascia ascoltare senza particolari difficoltà, data la citata competenza dei membri dell’ensemble nordamericano. È troppo poco, però, per consentire loro di forare l’audience con forza e decisione sì da emergere da quell’underground che, probabilmente, sarà la loro casa ancora per un bel pezzo.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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