Recensione: Destructive Force
L’Olanda è diventata ormai da parecchi anni una delle Nazioni in cui il death trova terreno assai fertile. Terreno in cui si nasce e si muore: alcune band esauriscono la propria spinta vitale, come per esempio i God Dethroned, mentre altre gettano le basi per una carriera nuova di zecca. Magari, germogliando dai frammenti delle vecchie glorie.
Come i Kill Division, formatisi l’anno scorso dall’unione di tre musicisti dal curriculum di tutto rispetto come Susan Gerl (chitarra e voce: ex-Catafalque, ex-Desensitised, ex-Cliteater, ex-God Dethroned), Richard Ebisch (chitarra, basso e voce: ex-Occult, ex-Inhume, ex-Legion Of The Damned) e Roel Sanders (batteria: Inhume, ex-Disinfest, ex-Malignant, Snaggletoöth, ex-Asphyx, ex-God Dethroned). I quali ci hanno messo ben poco a dare le stampe il debut-album, “Destructive Force”, peraltro con una major come la Metal Blade Records.
Osservazione, quest’ultima, che sembra superflua ma che in realtà è al centro dell’annosa questione, mai risolta e probabilmente irrisolvibile, che vede navigare nell’eterno underground act dal valore straordinario e, di contro, formazioni raffazzonate alla bell’è meglio giungere immediatamente, o quasi, al contratto discografico. Nel caso in esame si tratta forse di qualcosa in più di un trio messo assieme in maniera approssimativa, tuttavia occorre mettere subito in chiaro che i Kill Division, sommando il valore teorico di ciascun membro, mancano clamorosamente il bersaglio della sufficienza.
Sì, poiché “Destructive Force” è un lavoro tanto reclamizzato quanto scadente i tutti i suoi contenuti. Il mestiere dei Nostri li salva solo per quanto riguarda la manifattura di un sound sicuramente professionale tuttavia povero d’idee, scontato, privo di mordente. Insomma, una delusione pressoché completa. Partendo dalle linee vocali tragicamente monotone, ancorché interpretate sia dalla Gerl sia da Ebisch, che a volte si sovrappongono, a volte si alternano; non scostandosi mai da un tono praticamente uguale a se stesso via via che scorrono i brani. Pure i riff, malgrado formino una ragnatela spessissima, sanno di dejà-vu lontano un miglio non riuscendo a dare l’idea di qualcosa di diverso da una prestazione assolutamente scolastica. Pare anche sprecato il drumming di Sanders, totalmente devastante soprattutto in occasione dei violentissimi blast-beats, che però non va oltre la riproposizione di pattern triti e ritriti.
Oltre a ciò, anche le canzoni soffrono di gravi carenze. Prima fra tutte, una struttura il cui cliché costruttivo non regala nulla di nuovo, anzi ripercorrendo nemmeno tanto velatamente quanto già fatto da altri venticinque anni fa, come si ode nei break centrali di “Locked Up Forever” o “Made Of Lies”, che potrebbero far parte di uno qualsiasi dei vinili degli Slayer degli anni ’80. Esattamente come l’hardcore di “Sadistic Oppressor”. La faccenda non mostra cambiamenti, inoltre, neppure in occasione del brano più lungo del platter, “Destructive Force”, che ci mette davvero poco a naufragare nel tedio. Poi, ci si mettono pure guitar-solo tirati à la Slayer (di nuovo…), a peggiorare le cose. Da tutto questo emerge solo la già menzionata bravura del batterista, che riesce a mantenere una buona tensione durante i tremendi passaggi in cui i BPM si alzano vertiginosamente, stordendo senza pietà la resistenza timpanica come in “Fear Of Life”.
È troppo poco, però, per togliere le castagne dal fuoco. “Destructive Force”, ascolto dopo ascolto, affonda inesorabilmente nel mare dell’uggia più grigia. Dimostrando inequivocabilmente che una buona squadra sulla carta può ottenere dei risultati scadenti, se mancano quello spirito, quell’ardore, quella determinazione che iniettano nella musica un’anima, un cuore.
Daniele “dani66” D’Adamo
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