Recensione: DeviHate
2003, i Lifend esordivano nel mondo discografico con “Innerscars”. Album avantgarde impreziosito dalla voce femminile. Sono passati gli anni e anche i musicisti. Vari campi di line-up han modificato l’assetto e l’attitudine della band che, per la realizzazione di questo loro secondo album dal titolo di “DeviHate”, han cambiato in maniera sostanziale la propria proposta musicale.
Tanto per cominciare niente più voce femminile. Alla voce troviamo esclusivamente Alberto autore di una prestazione che oscilla principalmente tra growl e scream variando piuttosto bene il suo stile, anche grazie all’uso, qui e là, delle clean vocals. Varietà nell’uso della voce viene anche dai due guest vocalist presenti sull’album. M. the Bard degli Opera IX compare su “Parasite”, “None”, “Silent Winds” e “Fail Again”, mentre Dahmer dei Bastard Saints su “Fail Better” e “Prometheus Purpureal”.
I cantanti non sono gli unici guest presenti, ma ne parleremo più avanti.
La prova di tre cantanti, anche se sempre maschili, rende le linee vocali molto varie. Non abbiamo più gli stacchi eterei che si potevano prevedere prima in virtù della voce femminile, si rimane sempre presso lidi più aggressivi ed oscuri, quasi doom nel caso di alcune delle clean vocals (sempre opera di Alberto), ma il risultato riesce a non far rimpiangere il passato.
Cambiano gli interpreti quindi, ma la musica dei Lifend rimane sempre elaborata e piena di sfumature.
Sotto il profilo musicale, come si diceva, si è passati da un avant-garde con abbondante uso di strumenti esterni al metal (come il sax, per dirne uno che compariva spesso su “Innerscars”), a un death leggermente più canonico. Di certo il percorso evolutivo compiuto da questi ragazzi è difficile che li possa portare un giorno a scrivere canzoni con 2 accordi in croce e tutta la sperimentazione fatta negli anni scorsi con diversi strumenti, ritmiche, tempi non è certo stata buttata via. Esemplare da questo punto di vista è la terza “Try Again (Loss)” con i suoi stacchi estremamente evocativi, o anche il violino di Cristian Escheidel (un altro dei guest) che compare a più riprese lungo la tracklist come in “Parasite”, “None” o “Silent Winds”. Ancor più si potrebbe citare la maestosa suite finale “Prometheus Purpureal” in cui sembrano confluire molte delle idee che avevamo giù avuto modo di ascoltare durante l’album, con l’aggiunta di qualche effetto di synth donato dall’ultimo guest: Francesco Tosi dei Three Steps to the Ocean. La definizione scelta dalla band per la propria musica è di post-death, genere che si può in parte condividere e in parte no, principalmente perché un disco come “DeviHate” sfugge a molte delle etichette correnti risultando in definitiva, semplicemente, buona musica.
Per concludere i Lifend realizzano un secondo album piuttosto differente da quello del loro esordio discografico. Le coordinate musicali della band son cambiate in favore di un death più cattivo ma sempre strutturato ed articolato. Per chi li ha seguiti in tutto questo tempo saranno sicuramente una gradita conferma, coloro che li avevano persi di vista dal precedente “Innerscars” li troveranno decisamente cambiati, ma potrebbero rivelarsi una piacevole sorpresa.
Tracklist:
01 Purify Me
02 Parasite
03 Try Again (Loss)
04 Silent Winds
05 Fail Again (Fragments ov Regret)
06 None
07 Fail Better (Die!)
08 Prometheus Purpureal
Alex “Engash-Krul” Calvi
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