Recensione: Devoured by the oak
Tornano gli elvetici Cân Bardd. Tornano a distanza di due anni da “The last Rain”, album che aveva decretato una netta svolta nella loro (breve) carriera e li aveva rivelati come una delle band più interessanti del panorama atmospheric black metal. Che intendiamoci, non serve un Nobel in metallogia per emergere nella desolata e ultrapiatta landa dell’atmoblack, ma tant’è. “The last Rain” aveva conquistato molti senza inventare nulla di nuovo. Questo perché oltre alla malinconia di facciata tipica del genere, metteva in mostra un’anima poetica. Scusate il termine. Non so veramente in che altro modo spiegarlo, quell’album è per larga parte permeato da una vera e tangibile sensibilità artistica. Riuscirà il duo elvetico nell’ardua impresa di bissare quanto sentito due anni fa con il nuovo “Devoured by the Oak”?
Duo? Ma nell’atmoblack non sono tutte one man band? Sì, di solito questo concetto vale ma gli elvetici sono due. Il primo è Malo Civelli, classe 1998 di Ginevra (cantone francese, e infatti in “Devoured by the Oak” ogni tanto lo sentiamo screamare nella lingua di Beaudelaire). Ecco lui fa tutto quello che ci si aspetta da una one man band: compone musiche, scrive testi, canta, suona strumenti a corde e a tasti. Lo affianca però Dylan Wiston, svizzero anche lui a dispetto del nome (ma Anna Murphy insegna), che fa un’unica cosa. Una cosa che però quasi nessuno nell’universo dell’atmoblack fa: suona la batteria. Sicché i Cân Bardd sono una delle pochissime band di black atmosferico a non avere la #drammachine.
Basta questo a spiegare il fatto che il suono del duo non sia gelido e distante?
Chi lo sa. Quello che però emerge lampante è che “Devoured by the Oak” è, al pari del suo predecessore, un disco caldo e profondo.
Ha la fortuna di uscire in novembre, mese in cui la parte di mondo dove mi trovo si tinge veramente d’autunno (I mean no offense ma neppure nel nord Italia questa stagione assume la colorazione che si vede qui). E in effetti questo nuovo album ha proprio i colori e l’atmosfera dell’autunno. “Devoured by the Oak” è un disco che sa di pioggia e di foglie rosse, si copre di grandiosa malinconia (come vuole il genere) ma riesce anche, in certo qual modo, a riscaldare l’animo.
57 minuti che scorrono via molto facilmente. Più che le parti black, però, come già nell’album precedente, a colpire sono i cori malinconici e le chitarre acustiche. C’è molto degli Agalloch qua dentro, ma c’è anche molto folk made in Scandinavia. E così, se l’album non brilla per originalità (come prevedibile) conquista con un songwriting solido e per le melodie (e questo era tutt’altro che prevedibile) sincere. Quasi passionali, verrebbe da dire.
Si era detto di songwriting. In effetti, la band sembra aver risolto alcuni problemi a livello compositivo dell’album precedente, qui il sound risulta molto equilibrato in un giusto mix tra parti black, orchestrazioni esondanti ma anche momenti di folk intimista.
Nominare gli episodi più felici è inutile: la qualità è estremamente omogenea e pure piuttosto alta. l’unica traccia che balza all’orecchio è la conclusiva “Blomsterkransen”. Ma solo perché si tratta di una breve outro di chitarra acustica e voce femminile.
Insomma, “Devoured by the Oak” è una piacevole conferma – e forse un passo avanti – di quanto avevamo sentito dai Cân Bardd. Un terzo disco che conferma il talento degli elvetici e li eleva, a parer di chi scrive, a una delle due proposte dell’atmoblack nate negli ultimi 10 anni che valga veramente la pena di ascoltare (l’altra sono i Saor, Caladan Brood e Gallowbraid li diamo per estinti). Insomma, non una di quelle band tutte uguali che non si ascoltano un paio di volte e poi finiscono nel dimenticatoio.