Recensione: Diamond Blue

Di Fabio Vellata - 4 Settembre 2010 - 0:00
Diamond Blue
Band: Terry Brock
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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81

Terry Brock“Diamond Blue” : come dire, Strangeways più Steelhouse Lane.

Dopo la recente collaborazione con gli storici Giant, il singer americano ritorna nuovamente sulle scene in questo buon 2010 (buono s’intenda relativamente alle questioni melodiche), con un album solista che profuma di rock elegante e raffinato, o meglio ancora, di rock lucido e cromatissimo, costruito seguendo scrupolosamente una formula già sperimentata poco più d’un decennio fa (correva il 1998), in un altro disco contenente la parola “Blue” nel titolo, ovvero il grazioso e leggiadro “Metallic Blue” dei troppo presto accantonati Steelhouse Lane.

Padrone incontrastato di quel progetto era un chitarrista-compositore britannico sino a quel momento non molto noto (attivo a cavallo tra anni 70 ed 80 in band minori quali City Boy e Streets), quel Mike Slamer divenuto nel giro di poco tempo, uno degli eroi più stimati cui attribuire il merito della rinascita di un certo gusto e modo di far musica melodica, grazie ai già citati Steelhouse Lane – autori con il seguente “Slaves Of The New World” del 1999, di un vero capolavoro – ed agli altrettanto eccellenti Seventh Key (guarda caso, sempre con il bravissimo Brock ai cori).
Se la voce di Brock appare pressoché inconfondibile all’orecchio degli appassionati, lo stesso può valere per lo stile compositivo e l’estro musicale di mr. Slamer. Un’accoppiata di personalità che risalta sin dalle prime note di “Diamond Blue”, disco che proprio nell’alleanza Brock/Slamer scova le proprie fortune, ponendosi come una sorta di prosecuzione dell’eccellente “Nowhere Land” del 2006 (album, giova rimembrarlo ai lettori, realizzato quale solo-project dello stesso Slamer).

Il filo conduttore, infatti, non si limita ad una collaborazione artistica foriera negli anni, d’alcuni significativi capitoli di buon melodic rock, ma si perpetua in ugual modo anche nell’alto valore qualitativo di quanto proposto, sfociando nell’ennesima ottima collezione di brani suonati con classe esemplare, cantanti splendidamente e dotati di quell’atmosfera “aperta” e ricca di melodia (“arena rock” si diceva negli eighties), patrimonio caratteristico delle release targate Brock/Slamer.
La sveltezza delle armonie, il songwriting limpido e scintillante, la brillantezza della chitarra di Slamer e delle vocals di Brock, sono l’intelaiatura di gran parte del disco, in cui sono rilevabili pochi cali di tensione e momenti di stanca, concentrati per lo più nelle battute finali del cd.

Aprendo la scaletta con la gioiosa title track, il pensiero non può non volare immediatamente ai già più volte chiamati in causa Steelhouse Lane: solare ed avvolgente, la canzone ammalia con cori immediati e suoni ricchi di calore, riverberando un gusto tutto ottantiano per la costruzione dei pezzi.
Un andamento mantenuto con sicurezza anche nelle successive “It’s You”, “Jesse’s Gone” e “No More Mr. Nice Guy”, tanto godibili e ben confezionate da suscitare più di un sorriso compiaciuto sul volto d’ogni amante di tali sonorità.
Pare proprio di trovarsi alle prese con il degno erede del magnifico “Slaves Of The New World” poi, nello scoprire il primo lento del disco. La magica e soffusa “The Rain”, sembra, in effetti, un’emanazione della straordinaria “All I Believe In”, traccia che marchiava di pathos e passione la seconda uscita dei Lane.

Coordinate di raffinatezza e grandissimo stile che proseguono con la levigata “Broken” ed il fresco up tempo “Face In The Crowd”, episodio fornito di uno dei ritornelli più belli ed efficaci del disco.
Non senza un pizzico di sorpresa, i toni svoltano successivamente su di un inaspettato versante “Coverdaliano” con la bluesy “Why”: l’esordio del brano ricorda, infatti, molto da vicino la splendida “All In The Name Of Love” (tratta da “Restless Heart”, uscita semi-solista di Coverdale & Whitesnake edita nel 1997), da cui si differenzia per una diversa esuberanza delle chitarre, parecchio più presenti, e per un coro decisamente meno blues.
Veloce e scattante, “Too Young” riporta le ambientazioni su canoni prettamente melodic, inaugurando la parte finale con un coro ancora arrembante, questa volta, paragonabile alla simpatica “Metallic Blue” degli Steelhouse, title track del debut del 1998.

Due slow infine, a chiudere “Diamond Blue”.
L’intensa e sofferta “Soldier Falls” e la delicata “Face In The Night” pongono le note finali all’album, confermandone i caratteri di classe ed eleganza sin qui descritti, anche nei momenti di maggior quiete, pur se, opinione personale, con toni forse eccessivamente rilassati, soffusi e sonnolenti.

Con davvero pochi motivi di critica dunque, “Diamond Blue” merita seriamente grande attenzione da parte degli appassionati.
Brock intanto, è finalmente pronto per il ritorno degli indimenticabili Strangeways: qualora anche l’atteso come back del gruppo “madre” dovesse rivelarsi un buon successo artistico (come tutto il pubblico AOR si augura), il singer americano esibirebbe un eccellente “3 su 3”, tale da valergli, senza troppe riserve, la candidatura a personaggio del 2010 in ambiti melodici.

Nell’attesa della conferma, resta comunque il caloroso invito ad ascoltare questo gradevolissimo nuovo album solista. Pochi dubbi sul fatto che a molti piacerà…

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Tracklist:

01. Diamond Blue 5:02
02. It s You 4:42
03. Jessie s Gone 4:32
04. No More Mr Nice Guy 4:22
05. The Rain 5:14
06. Broken 4:07
07. Face In The Crowd 4:52
08. Why 4:19
09. Too Young 4:11
10. Ssoldier Falls 4:31
11. Face The Night 4:09

Line Up:

Terry Brock – Voce / Chitarra
Mike Slamer – Chitarra / Basso / Tastiere
Andy Bigan – Batteria

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