Recensione: Diamonds And Dirt
Fa piacere sentir nuovamente parlare di Brian “Robbo” Robertson, uno di quei nomi che la maggior parte delle persone tendono a non ricordare, ma che ha dato un grandissimo contributo alla storia della musica siglando grandi album con i seminali Thin Lizzy tra cui il mitico Jailbreak e Live And Dangerous, forse uno dei migliori dischi dal vivo mai registrati. Il Nostro, non pago di questa sua eredità, pensò bene di entrare in un’altra band quantomeno storica, cioè i Motorhead, coi quali incise quello che forse è il loro disco più bistrattato, quell’Another Perfect Day che ancora oggi accende polemiche tra i fan del trio inglese. Da allora non si è sentito fare il nome di Brian Robertson quasi mai, se non per qualche sporadica reunion insieme ai Thin Lizzy attuali, ma oggi le cose cambiano ed esce sul mercato il suo primo lavoro solista. Si tratta di una raccolta di materiale riarrangiato, cover e qualche inedito recuperato in una soffitta polverosa da un amico del chitarrista e considerato talmente buono da non poter cadere nel dimenticatoio.
Anzitutto va fatta una menzione alla lineup che ha inciso il disco: oltre al buon Robbo, infatti, troviamo anche Ian Haunglund (Europe) alla batteria, Nalley Påhlsson (Treat) al basso ed alla voce Leif Sundin (Johannson Brothers, John Norum Band, MSG) e Liny Wood. Con una formazione di tutto rispetto come questa è logico aspettarsi faville da questo Diamonds And Dirt.
Qualche perplessità, però, affiora adocchiando la tracklist, la quale presenta, come già accennato, per lo più cover e rifacimenti di brani già suonati dal Nostro con i Thin Lizzy. A questo punto la domanda sorge spontanea: era necessario un disco di cover da parte di un personaggio come Robertson, il quale ha rinviato più e più volte l’uscita proprio del presente lavoro? La risposta alla domanda arriverà solo alla fine dell’ascolto del disco ed è bene anticipare che, come in molti casi, la verità sta nel mezzo.
Ma procediamo con ordine: si parte con un brano a firma Robertson, cioè la titletrack dell’album, piccolo gioiellino di AOR tipico degli anni ’70/’80 per poi procedere con Passion, pezzo intriso di blues fino al midollo e che propone un’interpretazione da brividi sia da parte di Robbo che della sezione ritmica. Ecco quindi giunto il momento della prima delle tante cover, vale a dire It’s Only Money dei Thin Lizzy, anche se in questo caso si tratta di una canzone già incisa dal chitarrista assieme proprio alla formazione irlandese.
Si passa poi a Mail Box, brano che porta la firma del bluesman Frankie Miller e che quindi sprigiona tutto l’amore per questo genere musicale provato da Brian per procedere con un’altra rilettura dei Thin Lizzy, cioè Running Back, presente addirittura in due versioni e proposta con arrangiamenti freschi ed interessanti che danno nuova luce ad un brano già di per sé stellare. A seguire due brani a firma Robertson, Texas Wind e Devil In My Soul, entrambi forti di sonorità a metà strada tra l’onnipresente blues e l’AOR con qualche richiamo anche al country. Degna di nota soprattutto la seconda, la quale presenta anche un ottimo intervento di organo hammond che contribuisce a dare un tocco di classe ed incisività ad un pezzo veramente ben riuscito.
Tornando ai Thin Lizzy, Blues Boy rappresenta un gustoso inedito a firma Lynott/Robertson che, come esplicitato perfettamente sin dal titolo, incorpora la più classica delle strutture ottenendo un risultato che, se da una parte suona già sentito, dall’altra farà il piacere di tanti appassionati di musica nera grazie anche a reminiscenze gospel nei cori.
Robbo firma anche, nuovamente da solo, That’s All…!, brano hard rock tutto sommato nemmeno troppo riuscito rispetto al resto del disco. Successivamente, invece, si incontra 10 Miles To Go On A 9 Mile Road, ultimo pezzo degno di nota del lotto e scritto da Jim White, cantautore country con uno stile che talvolta si avvicina a quanto fatto dal grande Tom Waits. Chiudono poi il disco una versione lenta di Running Back dei Thin Lizzy ed un rifacimento di Ain’t Got No Money di Frankie Miller, pezzo che non aggiunge molto a quanto è stato detto finora.
A conti fatti, Diamonds And Dirt è un lavoro di gran classe, caratterizzato da una performance stellare da parte di tutti i musicisti coinvolti, eppure il fatto di trovarsi di fronte a brani estremamente differenti tra loro non gioca a favore dell’omogeneità del disco. Troppi alti e bassi con canzoni veramente spettacolari ed episodi evitabili e non all’altezza della situazione, i quali compromettono in parte il giudizio sull’album. La votazione deve, conseguentemente, tener conto di tale aspetto e media il lato puramente tecnico, assolutamente ineccepibile anche per ciò che concerne la produzione, con quello emotivo, sacrificato nel tentativo di raccogliere canzoni che poco hanno a che fare le une con le altre.
Si tratta di una raccolta di outtakes e riproposizioni di brani già editi, ma la voglia di risentire le versioni originali (soprattutto quelle a firma Lynott) non riesce a toglierla. Ringraziamo Brian Robertson per aver riportato alla luce il suo passato, ma i primi dischi dei Thin Lizzy erano un’altra cosa.
Andrea Rodella
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Lineup:
Brian “Robbo” Robertson – Guitar
Leif Sundin – Vocals
Liny Wood – Vocals
Nalley Påhlsson – Bass
Ian Haunglund – Drums
Tracklist:
1 – Diamonds And Dirt
2 – Passion
3 – It’s Only Money
4 – Mail Box
5 – Running Back
6 – Texas Wind
7 – Devil In My Soul
8 – Do It Till We Drop (Drop It)
9 – Blues Boy
10 – That’s All…!
11 – 10 Miles To Go On A 9 Mile Road
12 – Running Back (slow version)
13 – Ain’t Got No Money (bonus track)